Faenza, farmaci nel caffè della moglie: "Rischiava l'emorragia cerebrale"

Faenza

Nelle tazzine di caffè c’erano tracce di anticoagulanti e vasodilatatori, che avrebbero creato un’emorragia «irrefrenabile, massiva, non compensata dall’organismo, e che poteva portare al decesso». In assenza di esami specifici, in caso di somministrazione dolosa di questi farmaci sarebbe stato facile far passare un omicidio per morte naturale. Lo scandisce almeno un paio di volte la dottoressa Elia Del Borrello, consulente della Procura, chiamata ieri a deporre nel corso del processo nei confronti del 48enne Remigio Scarzani: «Può essere che casi di omicidio con queste modalità siano sfuggiti». Così, secondo l’ipotesi accusatoria formulata dal sostituto procuratore Cristina D’Aniello, il cuoco faentino 48enne arrestato il 1 ottobre del 2021 aveva fatto bene i conti, decidendo di miscelare un mix letale di pasticche tritate insieme allo zucchero nelle tazzine di caffè preparate all’ex moglie.

Rischiava l’emorragia cerebrale

«Non si tratta di un sovradosaggio – puntualizza la consulente –. Sono due farmaci che hanno effetti opposti, ma che possono essere concomitanti». In pratica, l’anticoagulante, che la donna assumeva regolarmente per trattare una trombosi, «favorisce la fluidità del sangue», mentre il vasodilatatore, non presente fra le prescrizioni mediche della signora, rende inarrestabile una possibile emorragia e «concorre nel creare un effetto dannoso sulla persona», potenzialmente letale. «Sono farmaci che vanno gestiti da personale medico specializzato in malattie della coagulazione», continua la dottoressa, i cui rischi sono indicati «anche nel bugiardino». E guarda un po’, il più grave è proprio «l’emorragia cerebrale». Il fatto che la vittima – costituitasi parte civile con l’avvocato Laerte Cenni – non si sentisse bene già da qualche settimana quando ha deciso di chiedere aiuto ai carabinieri di Brisighella sospettando un possibile avvelenamento, significa, secondo la consulente dell’accusa, che «la somministrazione stava avvenendo già da tempo». Le modalità sono quelle carpite dalle telecamere nascoste piazzate in cucina dal Nucleo investigativo, già mostrate in apertura del dibattimento davanti al collegio penale presieduto dal giudice Cecilia Calandra (a latere Cristiano Coiro e Natalia Finzi): il 48enne, pur separato dall’ex moglie, continuava a frequentare la casa in cui la donna viveva, e a dispetto dell’abituale atteggiamento aggressivo nei suoi confronti, aveva iniziato a indossare i panni del marito amorevole.

Vendetta per l’sms all’amante

Non si vuole staccare da me...”, aveva lamentato la vittima stessa in una delle rare confidenze fatte al datore di lavoro, che ieri ha raccontato dei mesi in cui aveva notato la dipendente particolarmente provata. Il motivo, forse, era proprio la vendetta. L’ipotesi ventilata dalla parte civile fa riferimento al fatto che l’imputato si fosse fatto due famiglie, tenendo l’una all’oscuro dell’altra. Smascherato, aveva scelto di abbandonare la moglie, pur continuando a frequentarla; ma quest’ultima, a inizio maggio del 2019, aveva mandato un messaggio alla nuova compagna del 48enne rivelandole che l’uomo continuava a esserle infedele. Una confidenza però venuta a galla, che secondo i legali della vittima avrebbe scatenato un’impennata di episodi di violenza contro la ex moglie, protratti fino al 2020 e forse solo preludio dell’ultima, subdola, decisione di risolvere la questione architettando l’omicidio perfetto.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui