Faenza e il passaggio di Leonardo Da Vinci

Faenza

Fare luce sul passaggio di Leonardo da Vinci a Faenza e in Romagna, su quanto ci ha lasciato in opere, invenzioni e testimonianze e quanto abbia influito il periodo trascorso presso le Signorie romagnole nelle sue creazioni.
E’ una ricerca alla quale sta lavorando da tempo, Antonio Collina, appassionato di storia e arte, noto per avere focalizzato numerosi “indizi” nella pubblicazione “Leonardo e la sua Romagna” uscito a fine 2021 per la società editrice Il ponte vecchio.

Il volume, attraverso testi consultati, fotografie e deduzioni, mira a fornire un quadro completo sulla presenza in Romagna del genio toscano a cominciare dalla sua giovinezza, e non solo nel 1502 come sino ad ora si è ritenuto.
La ricostruzione cronologica parte da un suo soggiorno a Imola già nel 1470, dopodiché l’autore colloca un’operosa presenza a Faenza dal 1474 al 1477. Il passaggio faentino è infatti quello maggiormente inesplorato “perché non vi sarebbero tracce documentate - rimarca lo studioso – data la scomparsa degli Archivi dei Manfredi andati ufficialmente dispersi, ma che potrebbero non essere stati distrutti: probabilmente sono giacenti in uno dei numerosi pozzi faentini, utilizzati in antichità come discariche».
La ricostruzione di Collina si basa perciò su circostanze, segnali, tracce, intuizioni tese a confezionare prove.

Di alcune “scoperte” si è già parlato, ma non mancano le novità, come le segnalazioni dipaesaggi naturali del territorio con quanto dipinto dal maestro in taluni suoi quadri: nella Vergine delle Rocce si ravvisano sembianze riconducibili alle Gole del tè di rio Albonello a Monte di Faenza e alle grotte di re Tiberio e della Tanaccia. Addirittura nella Madonna di Solarolo, scultura attribuita al Verrocchio, lo studioso faentino intravede la mano di Leonardo; e lo spiega nel libro.

Inoltre «è impossibile non pensare – scrive l’autore - che Leonardo, cresciuto nella fabbrica di ceramica del padre, non si sia cimentato nella produzione di ceramiche a Faenza» e cita tra l’altro una statuetta in terracotta raffigurante la Caritas. Insomma il libro enumera tutti i possibili collegamenti di vari manufatti del nostro territorio con Leonardo a partire dal Duomo, il quale fu oggetto qualche anno fa di un’ indagine con georadar alla scoperta di cunicoli ed elementi simili a quelli rappresentati nel famoso taccuino dell’inventore, il cosiddetto codice L conservato a Parigi all’Istitut de France.
Sulla cattedrale non mancano gli approfondimenti: come le 16 foto che individuano altrettanti particolari secondo Collina “leonardeschi”. Come pure si concentra sui ruderi di Ceparano, la torre di Oriolo, il Castello di Rontana, ai cui progetti Leonardo avrebbe messo le mani, perché tutto il sistema fortilizio intorno a Faenza fu opera dei Manfredi: «Con Carlo II e il fratello vescovo Federico, signori di Faenza, la città e i possedimenti subirono lavori rivoluzionari – dice Collina –: chi fu l’architetto capace di innovazioni come il puntone a becco, le volte a vela per esempio, se non Leonardo?».

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