Fecero irruzione in classe durante l’ora di lezione, con microfono e telecamera puntati sull’insegnante. Per l’inviato della trasmissione televisiva “Le Iene” e l’operatore che aveva al seguito, quello era un legittimo esercizio del diritto di cronaca, cavalcando una notizia di sicuro interesse pubblico: cioè il caso della professoressa dell’Isia di Faenza che nel 2017 si era auto assegnata la cattedra, pur essendo presidente della commissione di selezione e direttrice dell’istituto. Tuttavia i modi con i quali il giornalista Silvio Schembri e il cameraman Claudio Mandich quel 25 ottobre tentarono di scucire l’intervista alla docente, sono stati ritenuti non proprio ortodossi, al punto che ieri nei loro confronti il vice procuratore onorario Katia Ravaioli ha chiesto per entrambi la condanna a 6 mesi di reclusione contestando i reati di violenza privata e interruzione di pubblico servizio.
Il fatto
Il video, di fatto, non andò mai in onda. Ma il blitz degli inviati suscitò un certo mal di pancia interno all’istituto. In primis, la docente, Marinella Paderni, costretta a interrompere la lezione, percepì le scomode domande proferite a bruciapelo come una sorta di aggressione; messa letteralmente all’angolo, riferì di essere stata ostacolata nel tentativo di uscire dall’aula. Alla luce della testimonianze di alcuni studenti, la preside, Giovanna Cassese, quel giorno a sua volta intercettata da microfono e telecamera, ha deciso di sporgere denuncia, costituendosi parte civile e ottenendo tramite il proprio legale, l’avvocato Alberto De Vita, la citazione come responsabile civile del gruppo Rti, che produce la trasmissione. E’ stato il difensore della dirigente, nella sua arringa, ad accostare l’ingresso in aula dell’inviato e dell’operatore alle «interruzioni delle lezioni fatte dalle squadracce di Mussolini durante il Ventennio», che come allora avrebbe minato «la libertà del docente, che è sacra». Inoltre, ha proseguito cercando di confutare la tesi dell’esercizio del diritto di cronaca, «si trattava di una notizia ormai superata, perché l’atto del bando era stato annullato 12 giorni prima».
Le difese
Nel tentativo di smarcarsi da un potenziale risarcimento in caso di condanna, il legale della società Rti, ha sottolineato che «i due imputati non sono dipendenti, ma liberi professionisti che per dovevano realizzare un certo numero di servizi per l’emittente televisiva». Inoltre, ha aggiunto, «non c’erano indicazioni operative, né poteva Rti prevedere le reazioni dei soggetti interpellati». Infine la difesa dei due imputati, assistiti dall’avvocato Stefano Toniolo, ha sottolineato che «l’accesso alla scuola era libero, senza nessuna guardiola, e i due giornalisti avevano chiesto indicazioni su dove si trovasse la professoressa Paderni, ricevendo il via libera verso l’aula». E per dimostrare la piena attualità della notizia, ha ricordato che «dopo l’intervento delle Iene la professoressa fu sottoposta a procedimento disciplinare». In definitiva, ha aggiunto, «se all’epoca i giornalisti non avessero provato a interpellare la docente, oggi forse ci troveremmo qui a trattare un processo per diffamazione». Sarà il giudice Roberta Bailetti a decidere a metà maggio se in questo caso il diritto di cronaca si sia spinto oltre il limite.