Export,grande balzo in tutta la Romagna ma c’è l’incognita bollette

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Partiamo dal bicchiere mezzo pieno. Se guardati nella loro interezza, i numeri romagnoli delle esportazioni nel 2022 potrebbero raggiungere il loro record, con una crescita rispetto all’anno scorso (che già fu di grande boom sotto questo profilo) ancora una volta in doppia cifra. Non si tratta di una valutazione proprio di secondo piano, perché in percentuale al valore aggiunto prodotto, l’Emilia-Romagna è storicamente la regione maggiormente esportatrice del Paese – più del 50% della propria produzione finisce fuori dai confini nazionali. Mentre in termini assoluti, con quasi 72,5 miliardi di export fatti registrare l’anno scorso, è seconda solo alla Lombardia. Un contesto nel quale la Romagna fa la sua parte in maniera assolutamente rilevante, dato che contribuisce a formare circa il 15% delle esportazioni regionali (pari a 11,6 miliardi di euro nel 2021). Ricapitolando, insomma, è proprio il mercato sempre più globale che l’anno scorso ha trainato la ripartenza del territorio e anche quest’anno ha contribuito a fare la sua parte.

Frenata export

Veniamo ora al bicchiere mezzo vuoto, perché se è vero che i dati delle esportazioni sono in salita, è altrettanto vero che l’inasprirsi dello shock energetico sta appiattendo, sempre di più ogni giorno che passa, la linea della crescita. In soccorso ci vengono i dati che il Centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne ha elaborato la scorsa settimana per il quotidiano economico milanese Sole 24 Ore. Andandoli ad analizzare nel dettaglio, si vede come i primi due trimestri dell’anno in corso abbiano viaggiato sostanzialmente su due lunghezze d’onda completamente differenti. Da gennaio a marzo di quest’anno, in particolare, le imprese della provincia di Ravenna, storicamente la più esportatrice delle tre romagnole, hanno portato all’estero 1,5 miliardi di euro di prodotti (più 41,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), quelle di Forlì-Cesena sono arrivate a 963,4 milioni (in salita quasi del 16% sul 2021) e infine le aziende di Rimini hanno chiuso a 627,5 milioni (più 11,6%).

Guardando ora il “secondo capitolo” di questa lunga analisi, da aprile a giugno l’export nella provincia di Ravenna è arrivato a 1,57 miliardi di euro (più 25,6% se comparato al medesimo trimestre del 2021); Forlì-Cesena ha totalizzato poco più di 1 miliardo (più 12,4%); Rimini ha messo a segno altri 776,6 milioni di euro di export (più 19% rispetto all’anno precedente).

Conclusioni

Ciò che evidenzia questa fotografia è quindi un evidentemente rallentamento nella crescita delle esportazioni romagnole, che da un trimestre all’altro hanno fatto segnare una frenata di oltre 6 punti percentuali. A scalare più marce è stata proprio Ravenna, meno 16,1% da un trimestre all’altro, seguita da Forlì-Cesena, con un più contenuto meno 3,4%. In controtendenza, anche rispetto al quadro nazionale di decrescita, è invece la provincia di Rimini, dove le vendite verso l’estero da aprile a giugno hanno riportato un tasso di crescita più elevato del 7% rispetto alla forbice gennaio-marzo.

C’è un perché a tutto questo e va ricercato nel tessuto imprenditoriale che compone le tre province romagnole. Così diverso l’uno dall’altro da determinare risultati anche diametralmente opposti. Tra l’altro, stando agli analisti, le “province energivore” (vedi Ravenna) sono quelle più esposte a questa decrescita delle esportazioni, poiché i settori energivori, contrariamente ad altri che tagliano sui margini per rimanere sui mercati, sembrano preferire una contrazione dei volumi di export.

A chiudere il percorso c’è un dato di scenario che il centro studi di Confindustria ha comunicato pochi giorni fa e che parla di un commercio estero che, secondo loro, l’anno prossimo in Italia stopperà la sua salita, crescendo appena dell’1,8%.

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