Eva Robin's: "L'omofobia oggi è ancora più violenta"

È sicuramente una tra le donne del mondo dello spettacolo che ha maggiormente incuriosito, stupito e fatto parlare di sé, soprattutto perché per l’anagrafe è nata come Roberto Maurizio Coatti. La transgender più famosa d’Italia, invece, ha scelto come nome d’arte Eva Robin’s, uno pseudonimo ispirato alla Eva Kant di Diabolik, la cui traduzione completa rappresenta il suo provocatorio estro: l’usignolo di Robin. È nata a Bologna, ma è naturalizzata Ravennate avendo vissuto tutta l’infanzia coi nonni nelle campagne di Longastrino, la piccola frazione di Alfonsine. Anche grazie alla madre Genny, originaria di Lugo, si è innamorata di quell’accento romagnolo che continua ad esibire con orgoglio. La sua vita cambia radicalmente quando all’età di 14 anni, in giro per Riccione, decide di farsi dei colpi di sole da una parrucchiera. Si piaceva così, e il giorno dopo la chiamavano già tutti “signorina”. In pochi anni il suo essere donna è progredito e la sua vena artistica esplosa: l’esordio nel ’79 come corista di Amanda Lear, poi debutta come cantante e attrice, finché non la nota Antonio Ricci. Vive nel Ravennate parecchi mesi all’anno, in una casa che è anche un po' il suo laboratorio, tra colori, pennelli e tante provocazioni.

Qual è oggi la sua percezione dell’omofobia?

«Sicuramente si è imbestialita, nel senso che l’emancipazione delle minoranze, di qualsiasi genere, ha creato situazioni di intolleranza estrema. Una condizione che riguarda tutte le forme di diversità e che spesso mi fa venire le lacrime agli occhi».

Quindi negli anni ’90 era diverso?

«Certamente. Forse la giovinezza mi faceva vedere tutto sotto altri punti di vista, ma non ricordo episodi di discriminazione violenta. C’era più curiosità nel vedere una donna dentro a un corpo maschile. Oggi la comunicazione, così diversa e così veloce, alimenta alcune forme di reale ignoranza».

Avrebbe avuto un trattamento diverso se non fosse diventata così celebre?

«La corazza che mi sono costruita inventandomi Eva mi ha difeso molto; il mix di soggezione e ammirazione che producevo mi è servito a non avere alcun tipo di problema».

E invece questo suo voler essere così, nel mondo dello spettacolo le è stato d’aiuto?

«Direi proprio di sì. La mia spavalderia e quella chiarezza con cui mi sono sempre espressa era, lo è ancora, quel surplus che mi ha reso unica. Poi ci sono tutti i retroscena, ma forse non è il caso di spifferarli».

Ieri era la Giornata internazionale contro l’omofobia; che cosa ha fatto di particolare?

«Ho continuato a fare ciò che faccio quotidianamente. Uscire con un look vistoso, molto riconoscibile, assieme ad una cara amica. Non ho mai partecipato a nessun gay pride, perché io mi espongo tutti i giorni. Sono la cosiddetta “manifestazione vivente”: vivo e dimostro quanto è normale la mia diversità, rivendicandola».

È comunque importante questa giornata di sensibilizzazione?

«Certo, però non deve essere uno spot. È meglio esserci sempre senza dare fastidio. Nella società di oggi è normale incontrare, lavorare o studiare con persone che hanno una loro identità di genere, diversa da quella apparente, ma così tanto reale e bella. È importante mischiarsi, conoscersi e scambiarsi bagagli culturali».

Parliamo del più attuale Ddl Zan; la preoccupa l’accesa discussione politica?

«È difficile metter sempre d’accordo tutti, e spero che prevalga la linea del confronto e del buon senso. Sarebbe bello che ci fosse una larga condivisione, significherebbe che è in corso un’evoluzione culturale».

E invece lei di cosa si occupa ora?

«In questo preciso momento sto girando un cortometraggio intitolato “La discoteca”; racconta di un futuro distorto, ma non vi svelo nulla di più. La mia vita è fatta di arte e continuo a dipingere i miei quadri che esporrò durante la prossima edizione di Arte Fiera a Bologna».

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