RAVENNA – Il governo gela le aspettative del settore dell’offshore italiano. Per il presidente del consiglio Mario Draghi e per il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, la possibilità di installare nuove piattaforme metanifere in Adriatico, e in generale al largo delle coste italiane, non è una priorità e demandano questa iniziativa al Parlamento, qualora volesse intervenire.
Dopo il decreto Bollette, l’attesa era forte per il nuovo intervento emergenziale volto a calmierare prezzo di carburanti ed energia. Il fronte locale, sia le aziende del ramo dell’upstream come le istituzioni, si erano esposto perché si valutasse un nuovo decreto in deroga al recentemente approvato Pitesai e che consentisse la nascita di nuove piattaforme, per attingere a giacimenti già mappati ma esterni al nuovo piano regolatore delle estrazioni.
Su quest’impronta si erano mossi prima il Roca (l’associazione che raggruppa gli imprenditori ravennati del settore), poi Confindustria, quindi il consigliere regionale Pd Gianni Bessi, e nei giorni successivi il sindaco Michele De Pascale. Questo perché la rimessa in esercizio, già avviata, sulle piattaforme esistenti stabilita dal decreto Bollette consentiva, in Adriatico, un ampliamento di poche centinaia di milioni di metri cubi di produzione di gas. A fronte dei 70 miliardi di fabbisogno nazionale.
In questa fase di decretazione di emergenza l’attesa era quella che si potesse rivedere la disponibilità – in particolare – dei beni del sottosuolo presenti a nord di Goro. Nella conferenza stampa dei giorni scorsi, presentando i nuovi provvedimenti, il presidente del Consiglio e il ministro sono stati interpellati proprio sul tema delle nuove estrazioni. Draghi ha lasciato la parola al referente del nuovo dicastero che ha competenza energetica. Cingolani ha ricordato come «per quanto riguarda le azioni attuali, avevamo pensato di aumentare, nei giacimenti esistenti, la produzione del nostro gas perché questo ci consentiva, per quantità ragionevolmente piccole, di poterne usufruire ad un prezzo concordato con il gestore, aiutando le nostre aziende per il caro prezzi». Poi la guerra fra in Ucraina ha reso lampante «la necessità di diversificare le fonti. Ma sulla scala dei semestri, non pluriennale. Se anche noi adesso decidessimo, seguendo le procedure accelerate, di aprire nuovi pozzi in giacimenti italiani – spiega Cingolani – tecnicamente questo necessiterebbe numerosi anni. Quindi non sarebbe una risposta immediata al problema, indipendentemente dal fatto che un parlamento decida o no di farlo, sia chiaro. Allora dobbiamo attuare un meccanismo di diversificazione, che sfrutti i giacimenti già funzionanti, contrattualizzando nuove forniture». Questo perché, secondo Cingolani «il gas avrà una parabola di dieci, quindici anni come vettore energetico di transizione, quindi le scelte andranno fatte “cum grano salis” in condizioni non belliche, per capire se avrà senso, in futuro». A questo intervento si aggiunge la chiosa di Draghi, secondo il quale una parte importante della diversificazione sarà da attribuire «all’accelerazione sulle rinnovabili».