Era il “Palio di Rimini” e si svolgeva senza fantino

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Negli anni Sessanta dell’Ot t ocento, Rimini –ancora senza ippodromo – pianificava sulla sabbia i propri convegni equestri incentrati sulle corse dei cavalli a sedioli, a carrettoni, a biroccini, a traina, a travarca e, di tanto in tanto, anche a fantino. Riunioni decisamente “m i n ori”, rispetto a quelle in cartellone nei grandi centri del trotto e del galoppo, che tuttavia incontravano il favore della popolazione (Corriere dei bagni, 7 agosto 1872). Tra le competizioni “se nz a f an ti no ”, quella che suscitava maggiore interesse era la Corsa dei cavalli barberi. Appassionava così tanto, che il Municipio la inseriva nell’annuale “corollario celebrativo” della più importante ricorrenza civile: la Festa nazionale dell’Unità d’Italia e dello Statuto del Regno. La gara si effettuava il pomeriggio della prima domenica di giugno sulla Strada maestra (corso d’Augusto); la partenza era nei pressi di porta Romana, l’arrivo a porta Bologna. In caso di maltempo la manifestazione era rimandata al giorno successivo. Il cavallo correva “sciolto”, senza jockey, ma aveva nel pennacchio i “colori” del proprietario. Proprio perché identificabile, il barbero riceveva l’incitamento del pubblico, che da “passivo” spettatore diventava “attivo ” protagonista della sfida.

Intorno alle varie scuderie, infatti, si coagulava una rumorosa tifoseria di amici ed estimatori; alcuni di questi, per i compiti che erano chiamati a svolgere lungo il percorso, percepivano perfino un utile dalla corsa, la quale, non a caso, metteva in palio sostanziosi premi in danaro. In base a regolamento scritto, i cavalli non potevano “indossa - re ” alcun oggetto che «arrecasse spavento» eccetto le famigerate «palle pungenti» attaccate alle groppe: una sorta di meccanismo di autoflagellazione – in questo caso decisamente “bar - baro” – capace di eccitare il galoppo del quadrupede. Una volta assegnato per sorteggio il posto di partenza, ogni cavallo era “marcato” con un numero di gara; quindi, tenuto al “briglino ” dal suo “barberesco ” (stalliere o artiere), attraversava a ritroso tra le acclamazioni della folla l’intero percorso per poi schierarsi sulla linea della mossa. Qui i barberi, sempre più inferociti dal supplizio delle “punte d’ac c i a io ” e dalla confusione che si creava intorno a loro, venivano trattenuti a fatica dietro il canapo. I cavalli che partivano prima del via erano squalificati; la giuria non ammetteva contestazioni: le rimostranze e i ricorsi non facevano ancora parte del bagaglio dei perdenti.

Qualche minuto prima della mossa veniva fatto esplodere un mortaretto per sgomberare il tratto della competizione: il segnale impegnava tutti a rimuovere dal corso qualsiasi impedimento. Alla partenza, che avveniva tramite uno squillo di tromba, i cavalli si lanciavano freneticamente al galoppo sull’unica via di fuga a loro disposizione, urtandosi e sorpassandosi a vicenda. Al traguardo una larga striscia di tela bianca frenava il loro impeto e subito dopo squadre di uomini, predisposte dalle varie scuderie con tanto di «segnale al braccio », avevano il compito di domarne l’irruenza. È facile immaginare lo spettacolo tragicomico, e un po’ sadico a dire il vero, delle povere bestie indotte dalle loro «palle pungenti» a non interrompere il movimento e delle persone che con urla e sbracciamenti cercavano invece di bloccarlo. Per i riminesi la Corsa dei cavalli barberi, con il suo contorno di preparazione e di attesa, era una sorta di palio, in formato ridotto e molto alla buona, in grado di tenere i gruppi di tifoseria vincolati ai singoli proprietari del barbero.

Per il successo di pubblico che riscuoteva, la manifestazione era inserita anche in altri momenti “forti” del calendario civile, per esempio durante le giornate di Carnevale o i grandi convegni di beneficenza, come quello di domenica 25 luglio 1869 per la tombola a favore dell’asilo infantile. La “pista” a volte variava e dalla tradizionale Strada maestra traslocava allo Stradone dei bagni. Proprio qui, nel luglio del 1870, una esilarante rassegna equestre con la partecipazione di barberi e barbereschi attirava una enorme folla di curiosi anche dal contado. La Corsa dei barberi –in origine il nome era berberi, dato che i cavalli utilizzati allo scopo erano nordafricani – si rifaceva ad una antica “giostra” medievale molto di moda a Roma, Firenze, Pistoia, Siena e Bologna.

Per la sua stravagante messa in scena la sfida attirava i pennelli di tanti pittori europei tra i quali il francese Jean-Louis André Théodore Géricault (1791-1824) e l’inglese Thomas Jones Barker (1815-1882). Oltre ad essere una esibizione di eccessiva ferocia, per il tormento che procurava alle povere bestie, la manifestazione cagionava gravissimi incidenti tra gli spettatori; motivi, questi, che determinarono, nel 1884, la sua soppressione su tutto il territorio nazionale. Un altro singolare avvenimento in voga a Rimini in quello scorcio di fine secolo – lo menzioniamo solo per il suo aspetto bizzarro – era la Corsa degli asini, spintonati e sollecitati al movimento dal pubblico assiepato ai margini della strada. Una gara ridicola, addirittura volgare, ma richiesta a furore di popolo, stando ai giornali dell’epoca. E tra questi L’Ausa del 29 agosto 1903.

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