Entriamo nel mondo di Tonino Guerra al Fellini Museum

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«A maz al lózli l’è dal stèli pécli ch’a l casca dròinta i ócc». (A maggio le lucciole sono piccole stelle che cadono negli occhi).

La metafora guerriana risuona nelle sale dell’ala di Isotta a Castel Sismondo, dove è allestita la mostra Nel mondo di Tonino Guerra, all’interno del nuovo Fellini Museum, a cura di Luca Cesari, fino al 9 gennaio.

Un omaggio al poeta, scrittore eclettico artista santarcangiolese, sceneggiatore di fama internazionale che al regista riminese è stato molto legato e con lui ha collaborato sceneggiando 5 film tra cui Amarcord vincitore dell’Oscar.

Le lucciole per Guerra sono schegge di luce, lampi poetici che deliziano e incantano, e ricrearle era un suo precipuo intento. Come farlo? Attraverso la creazione artistica e la produzione artigianale. Perché la manualità sapienziale degli artigiani, «a cui io sto molto vicino», è una ricchezza che non può andare perduta, gridava insieme al suo motto primario: «La bellezza è il nostro petrolio, è il nutrimento della mente e a essa dobbiamo affidarci per salvarci».

Dopo trent’anni di cinema a fianco dei più grandi registi del Novecento, a un certo punto della sua vita artistica è tornato all’espressione grafico-pittorica. È accaduto dopo aver ricevuto in dono dalla moglie Eleonora «un continente» come definiva lui la Russia, grazie alle infinite folgorazioni, gli abbaglianti estetismi, le simbologie allusive, le astrazioni visionarie che questa terra gli ha portato in dote divenuta sua seconda patria e gli ha ridato quello slancio figurativo a cui si era affidato in gioventù.

Si è rimesso a dipingere seppure «con la poesia alle spalle» come amava ripetere. Ma ben presto è andato oltre offrendosi come un maestro rinascimentale pronto a suggerire e mettere a disposizione i suoi disegni e le sue idee poetiche per una rinnovata creazione artigianale. Ecco ciò che offre la mostra all’interno del grande contenitore felliniano: l’esempio pratico di ciò che il suo dono umanistico ha fruttato.

Ci sono proiettate le immagini delle sue fontane, dei parchi, dei giardini degli allestimenti, c’è la sua voce che li racconta. Ci sono esposti i suoi pastelli, gli acquerelli, i bozzetti e poi c’è la miriade di opere, in terracotta, su tela, in cartone, in vetro, in ferro che una moltitudine di artigiani e artisti ha creato su sua precisa indicazione.

Nella bottega studio di casa sua sono nati gli embrioni di quei manufatti che ora abbagliano con variegati cromatismi ed eccentrici simbolismi le pareti delle stanze di Isotta.

Sono prodotti di mani sapienti appartenenti a uomini e donne coi quali ha dialogato con umiltà, affetto, amore, che sapeva tenere in amorevole legame amicale prima ancora che artistico, perché anche questo faceva parte del suo innato genio, sapersi donare senza chiedere nulla in cambio, solo per raggiungere il fine ultimo: l’incantamento senza il quale la nostra vita sarebbe al buio, proprio come se scomparisse il miracolo delle lucciole.

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