Enti non-profit e fallibilità secondo la Cassazione

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In ambito dottrinale e in giurisprudenza a lungo si è dibattuto sul problema interpretativo in ordine alla fallibilità degli “enti non profit”. Oggi, la conclusione in ordine all’assoggettamento alle procedure concorsuali di tutti i soggetti che perseguono un “lucro oggettivo” pare essere unanimemente condivisa, così come gli effetti sugli amministratori e sugli associati. La distinzione tra le due tipologie di soggetti, for profit e non for profit, non è legata allo svolgimento o meno di una attività economica, ma alla finalità a cui è deputato l’ente. Nelle società profit lo scopo è quello di trasferire ai soci l’utile dell’attività esercitata, negli enti non profit la finalità è di tipo altruistico, ideale, sociale in forza del quale i destinatari dei profitti dell’attività sono soggetti terzi, caratterizzati da diverse tipologie di “meritevolezza” sociale e non invece i soci statutari del capitale dell’ente. Da questo discende con chiarezza, ormai condivisa, che gli enti non profit possono esercitare un’attività di impresa secondo criteri di economicità della gestione, senza però perseguire il lucro in senso oggettivo dei soci o degli associati. Un rilevante contributo sul tema lo si rinviene nella recente ordinanza della Cassazione, n. 4418/2022 del 10.02.2022, la quale pone l’accento sull’applicabilità delle disposizioni dell’articolo 1, comma 1, Legge Fallimentare, anche agli enti non-profit, in assenza di gratuità dell’erogazione della prestazione eseguita in favore dei terzi e nell’attitudine dell’Ente stesso a conseguire un risultato economico, pur per finalità istituzionali. La Cassazione affonda la propria tesi sul requisito oggettivo, quale elemento sintomatico della “commercialità”, che si discosta dal mero scopo di lucro, basandosi sul principio della tendenziale proporzionalità tra i costi e i ricavi conseguiti a prescindere dalla natura soggettiva non-profit dell’Ente stesso.

Ai fini della fallibilità, non è necessario lo scopo di lucro (Cass. 6835/2014), rilevando solo il perseguimento del c.d. lucro oggettivo, ossia il rispetto della “economicità” della gestione, essendo sufficiente lo svolgimento, ex art. 2082 c.c., di un’attività economica organizzata che riveli semplicemente l’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi (Cass. 4912/1987), con esclusione del carattere imprenditoriale solo nel caso in cui l’attività sia svolta in modo del tutto gratuito (Cass. 1662/2008, 7725/2004, 16435/2003). In sintesi, sussiste sempre un’attività di gestione d’impresa qualora si rappresenti una proporzionalità tra costi e ricavi, appunto lucro oggettivo, che si traduce nell’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi (Cass. 22955/2020, 25478/2019, 20815/2006). Ciò anche nella tendenziale idoneità dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio (Cass. 42/2018). Il quadro teorico di riferimento, così come ricostruito, per gli enti no for-profit determinerà con quasi certezza l’assoggettabilità al fallimento, laddove l’ente operi in modo che i fattori di produzione siano remunerati, anche solo in parte, con i propri ricavi (Cass. 22955/2020). Al contrario, qualora l'ente associativo sia dedito ad attività esclusivamente istituzionale rivolta agli associati in modo del tutto gratuito, non dovrebbe risultare assoggettabile alle procedure concorsuali.

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