Enrico Caruso a Rimini: "Che bel mare!"

Cultura

RIMINI. «Oggi, giovedì 24, dopo circa un mese di permanenza nella nostra spiaggia, che per la sua bellezza ha saputo conquistarlo, partirà per la sua bella nativa Napoli il commendator Caruso, che quest’anno si è unito alla numerosa schiera di artisti che Rimini ha il vanto di ospitare durante il caldo estivo». Così Il Momento del 24 agosto 1911 dà l’addio all’illustre villeggiante.

Enrico Caruso (1873–1921), 38 anni, è il più popolare, ricco e idolatrato tenore vivente. Osannato dai teatri di tutto il mondo, dal 1903 risiede a New York legato per contratto, nella stagione d’opera, all’impresa del Metropolitan, massimo palcoscenico nordamericano. La sua voce, calda, vibrante e di straordinaria potenza – paragonata al «soffio del vento attraverso i vetri» –, manda in delirio le folle. L’eco dei suoi trionfi, propagato dalla stampa di tutti i paesi, lo inserisce di prepotenza ai vertici dell’attenzione artistica. Tutti parlano dei suoi strepitosi successi, degli assalti che è costretto a subire dagli ammiratori, dei teatri stracolmi fino all’inverosimile insufficienti a contenere l’esuberanza dei fan.

Al Metropolitan il nome di Caruso in locandina crea problemi di ordine pubblico. L’affluenza ai suoi spettacoli è così tumultuosa che si traduce in un arrembaggio ai botteghini. I biglietti poi, sempre esauriti anzitempo, incrementano il fenomeno del “bagarinaggio”, una speculazione che non si riesce a frenare nemmeno con le più scrupolose precauzioni e i più severi controlli da parte delle autorità di polizia. Sembra persino che l’illecito commercio dei biglietti, rivenduti a tre e a quattro volte il loro prezzo, consenta di campare a molte famiglie del sottoproletariato americano. Costi d’ingresso da capogiro, dunque. Anche perché le opere di Caruso, strapagato dagli impresari, hanno già in partenza prezzi esorbitanti. Non è la prima volta che l’artista viene a riposarsi a Rimini. Amico di vecchia data della soprano Elena Bianchini Cappelli, è stato suo ospite nella villa al mare nei pressi della foce dell’Ausa nelle estati del 1902, 1904 e 1910. In quella dimora, che porta il suggestivo nome di “Vissi d’Arte”, punto d’incontro di musicisti e letterati, i due cantanti, dietro l’insistenza dei presenti, si sono spesso esibiti in memorabili duetti.

Con Elena, riminese d’adozione, Enrico ha in comune i ricordi dell’inizio della carriera, quando entrambi studiavano canto a Napoli sotto la guida del maestro Guglielmo Vergine. A quei tempi Caruso, senza arte né parte, era uno dei tanti “scugnizzi” che si guadagnavano gli spiccioli tra i tavoli delle bettole di Santa Lucia gorgheggiando a squarciagola O sole mio. Mentre faceva questa vita randagia, veniva avviato gratuitamente al “bel canto” dal maestro Vergine, affascinato dalla sua voce, e tra gli allievi della sua scuola c’era Elena Bianchini, anche lei grande talento naturale.

Nel luglio del 1911, prima di stabilirsi con i familiari a Villa Clementina, Caruso si trattiene per qualche giorno in casa della soprano. In quella occasione un cronista del Gazzettino Azzurro, periodico balneare riminese che annovera tra i collaboratori Filippo Tommaso Marinetti, sfruttando l’amicizia dei Cappelli e soprattutto il lato “tenero” del tenore – ovvero il disegno – , riesce a ottenere, dalla più celebre “voce” italiana, un’intervista. Un vero e proprio scoop giornalistico considerato il “caratteraccio” del cantante, noto per avere più volte “strapazzato” la stampa.

Caruso acconsente di rispondere a certe “indiscrezioni” sui suoi successi americani solo perché il redattore lo lusinga non sulla bravura canora, ma su quella grafica. Il napoletano infatti ha un debole per lo schizzo spiritoso, in questa espressione artistica si considera un «ottimo dilettante», abile soprattutto nel rappresentare se stesso, o meglio, il proprio faccione con frizzante umorismo.
Un’attitudine, questa, che dimostra all’istante tracciando con sicurezza di mano e per ben due volte il suo volto florido e bonario dal sorriso aperto, cordiale e “verace”: due autocaricature che andranno a corredare l’intervista sul Gazzettino Azzurro del 23 luglio 1911. Nella chiacchierata con il reporter, Caruso parla di Rimini, «col suo accento spiccatamente meridionale», in maniera disinvolta e libera, descrivendola come «la più bella spiaggia d’Italia». «Quivi – dice – son tesori di bellezza sovranamente deliziosa, e la fama celebre che la città gode è ben giustificata. … Io sono entusiasta di Rimini e del suo bel mare».

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