Emilio Solfrizzi a Cervia in "Roger"

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Si inaugura la stagione teatrale estiva di Accademia Perduta nell’arena dei Pini di Cervia-Milano Marittima. Stasera alle 21.15 a salire sul palco è l’attore Emilio Solfrizzi protagonista di “Roger” scritto e diretto dal drammaturgo Umberto Marino che ha voluto proprio Solfrizzi nel ruolo da solista assoluto.

Adattamento dal libro omonimo dell’autore, il testo si deve alla passione di Marino per il tennis e di conseguenza per il celebre campione Roger Federer a cui la pièce è in qualche modo dedicata. Così l’azione richiama un campo da tennis dove si gioca un’immaginaria e tragicomica partita tra un generico numero due e l’inarrivabile numero uno, un fuoriclasse di nome Roger.

Attraverso il campione però, la commedia vuole raccontare di noi. È così Solfrizzi?

«Sì, il protagonista non è il numero uno, ma è l’avversario che io interpreto, senza un nome, si definisce semplicemente numero due, affinché tutti noi possiamo riconoscerci, noi che non siamo dei numeri uno».

È un incentivo per gli eterni secondi?

«È una parabola della vita, è l’umanità che gioca quotidianamente la sua partita, anche quando l’avversario è imbattibile, irraggiungibile. Il senso è di combattere comunque, di rialzarci dopo cadute e difficoltà. Ma c’è pure altro; quando il nostro avversario ha qualità divine, la parte migliore di noi se ne innamora. Perché di fronte a un vero campione il suo gesto non ha più niente di umano, si eleva dal terreno, volge al trascendente, al gesto divino. E nessuno può rimanere insensibile di fronte alla bellezza».

Il senso è gioire della bellezza anche quando non è la propria?

«Il testo invita a capire quanto la bellezza può essere di incentivo a migliorarsi, a vincere la battaglia, laddove la battaglia è semplicemente migliorare sé stessi. Nello spettacolo si ride pure. Può anche divertire il racconto dell’umanità, quando si chiude il cerchio e la comicità incontra la tragicità».

In che modo sviluppa questa partita della vita?

«Marino ed io abbiamo fatto una scelta importante che è divenuta una sfida. Abbiamo capito che non servivano oggetti in scena, perché gli oggetti concretizzano l’azione, la portano “a terra” privano di evocazione. Così abbiamo puntato solo sull’attore ma senza racchetta, né palla, né rete, né avversario. Evocando e scatenando la fantasia dello spettatore, mostrando con l’immaginazione ciò che avviene fra i due mentre il palco è vuoto. Restituiamo centralità all’attore e alla parola».

È una prova d’attore vera.

«Lo è, ed è anche una grande fatica, è uno di quei monologhi che si accettano come sfida nella vita, privo di appigli, di un personaggio umanissimo scritto da Umberto Marino, che è uno dei nostri valenti autori italiani che ha lasciato testi di teatro contemporaneo di successo, da Italia Germania 4-3 a Mi volevano gli U2».

Quale stile di recitazione privilegia?

«Marino si è ispirato ai cuntastorie siciliani, quelli che un tempo giravano con un paio di panche per il pubblico e niente più. Eppure riuscivano a evocare battaglie e cavalli, e affascinavano chi li ascoltava. Il regista mi ha chiesto di propormi allo stesso modo in un testo che piace a tutti, anche a chi non è sportivo».

Quali prossimi lavori l’attendono?

«Riprenderemo la tournée sospesa per covid de “Il malato immaginario” di Molière per la regia di Guglielmo Ferro (il figlio di Turi Ferro). Interpreto un “malato” non troppo vecchio per esaltare di più le manie ipocondriache. È anche uscito il film “School of mafia” di Alessandro Ponti dove sono un boss mafioso, il capo è Nino Frassica. I figli dei boss non vogliono più delinquere, così i padri decidono di mandarli a scuola di mafia».

Euro 22.

Info: 0544 975166

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