Nel 2022 in Emilia-Romagna sono spariti 1253 negozi al dettaglio, in pratica più di tre al giorno. Il dato emerge dalle elaborazioni realizzate da Confesercenti su dati delle camere di commercio. L’Emilia-Romagna, con 9,5 negozi ogni mille abitanti, è anche fra le regioni con la minore incidenza dopo Trentino Alto Adige (6,9), Friuli-Venezia Giulia (7,8) e Lombardia (8,4). La media italiana è di 12.
Il crollo delle aperture
A livello nazionale nel 2022 sono nate solo 22.608 nuove attività, il 20,3% in meno del 2021. Un numero del tutto insufficiente a compensare le oltre 43mila imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca, e che fa chiudere l’anno con un bilancio negativo per oltre 20mila unità, per una media di oltre due negozi spariti ogni ora.
Mentre il numero di chiusure è in linea con quello rilevato negli anni pre-pandemia, il dato delle aperture del 2022 è il più basso degli ultimi dieci anni, inferiore del -47,9% non solo al valore del 2012 – quando, nonostante la crisi, avevano aperto oltre 43mila attività del commercio – ma anche rispetto al 2020, anno dell’emergenza Covid e del lockdown, che comunque aveva registrato l’arrivo sul mercato di oltre 25mila imprese del commercio; nel 2019, le aperture erano state 29mila. Il calo delle nuove aperture è rilevante soprattutto in Sardegna (-33,2% rispetto al 2021), Piemonte (-29,3%) e Umbria (-27,3%).
In un anno persi 1.253 negozi
La desertificazione delle attività commerciali colpisce tutto il territorio nazionale, anche se a registrare i saldi peggiori sono le regioni con un tessuto commerciale più sviluppato. In termini assoluti, a registrare la perdita più rilevante è la Campania, con un saldo negativo di -2.707 negozi; seguono, a stretta distanza, il Lazio (-2.215) e la Sicilia (-2.142). Perdite rilevanti anche in Lombardia (-2.123), Piemonte (-1.683), Toscana (-1.479), ed Emilia-Romagna (-1.253). In termini relativi, però, la perdita peggiore è quella registrata dalle Marche, dove il calo percentuale delle imprese del commercio attive, rispetto al 2021, è del -8,8%: quasi una su dieci. Seguono Friuli-Venezia Giulia (-4,7%) e Molise (-4,4%).
Tra chiusure e mancate aperture, il numero di negozi di vicinato al servizio della comunità è calato, rispetto al 2012, del -14,3% circa. Come detto, il tessuto del commercio resiste meno in Friuli Venezia-Giulia, Lombardia, Trentino Alto Adige ed Emilia-Romagna. Di più nelle regioni del Sud, in particolare in Campania (19,7 imprese ogni mille abitanti), Calabria (18,7) e Sicilia e Puglia (entrambe con 15,1).
Il ruolo dei negozi di vicinato
«La ripartenza post-pandemia non è riuscita a infondere nuovo slancio alle piccole imprese del commercio al dettaglio. Aprire una nuova attività di commercio di vicinato, in un mercato crescentemente dominato da grandi gruppi e giganti dell’online, è sempre più difficile: e i neoimprenditori, semplicemente, rinunciano, come evidente dal calo delle nuove aperture, inferiore addirittura all’anno della pandemia», spiega Patrizia De Luise, Presidente di Confesercenti. «A rischio c’è il pluralismo del sistema distributivo e il servizio ai cittadini: proprio l’anno della pandemia ha dimostrato il valore della rete dei piccoli negozi – dagli alimentari alle edicole – per la popolazione. Occorre aiutare le piccole superfici di vendita a inserirsi nel mercato e a restarci. Innanzitutto, puntando di più sulle politiche attive, a partire dalla formazione imprenditoriale e dal tutoraggio delle start-up da parte delle associazioni di categoria. Ma servirebbe una spinta anche sul piano fiscale, con un regime agevolato per le attività di vicinato».