Emergenza api: "Senza agricoltori si sarebbero già estinte"

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A Faenza c’è la storia di un pezzo d’Italia che cura le api. È una sorta di storia d’amore che ha visto protagonista Daniele, che iniziò tutto per hobby negli anni Ottanta e che poi ha mollato il suo lavoro da impiegato per partecipare a quella che oggi si chiamerebbe “riconversione ecologica”. Il cammino che aveva avviato ormai 40 anni fa è diventato virale in famiglia e poi ha spinto i suoi due figli, Mauro e Laura, a vivere anche loro con i ritmi della natura. E, soprattutto, delle milioni di api loro ospiti. «Tutto è iniziato con l’arnia ‘numero uno’, un po’ come la monetina di Zio Paperone. Era il 1983 e mio padre, Daniele Lombardi, aveva avviato un piccolo allevamento mentre faceva l’impiegato. Era un geometra – racconta Mauro – Come molti apicoltori fu facile fare il salto dall’hobby alla professione. È un mestiere che si può fare senza grandi investimenti iniziali che invece servono per costruire stalle o depuratori per vacche e galline. Oggi abbiamo 800 arnie da circa 100.000 esemplari l’una».

L’apicoltura di famiglia è un pezzo di storia romagnola ma oggi è lo stesso Mauro a spiegare come sia cambiato tutto. Mutano le esigenze e le competenze dei consumatori («La loro esperienza è tale che iniziano a dividere il miele per zona geografica e per periodo di raccolta», dice), ma si modificano anche le produzioni.

«La colpa è di tre fattori – sottolinea – l’inquinamento, i cambiamenti climatici e la salute delle api». «Se prima eravamo preoccupati per le patologie che le colpivano o per l’inquinamento legato all’agricoltura, queste cose ora sono tristemente diventate quasi gli ultimi dei nostri pensieri. La vera emergenza, ora, è legata allo sviluppo delle colonie che faticano a passare l’inverno e che hanno difficoltà in primavera a raccogliere nettari e pollini per riuscire ad avere abbastanza energie». Il cambiamento del clima incide non poco sulla vita di questi insetti, senza i quali non sarebbe possibile l’impollinazione. Quindi, senza api addio miele e addio frutta e verdura. «Se dieci anni fa dovevo scegliere dove portarle per creare mieli diversi e particolari ora inizio a chiedermi dove le porto perché non muoiano di fame», commenta Mauro Lombardi. La situazione è così critica, precisa, che se prima erano le api ad aiutare l’uomo, ora sono gli apicoltori a dover sostenere le api ricorrendo all’alimentazione artificiale pur di mantenerle in vita. «In Romagna siamo più fortunati che in altri luoghi perché la stagione è mite – aggiunge – In generale il settore sta avendo, nei casi migliori, un calo delle produzioni tra il 60 e il 70%. Quest’anno non c’è miele di melata, di tiglio, di tarassaco, di sulla. Una situazione di scarsità di cibo dell’intero alveare porta a una carenza dell’intera colonia: anche per questa ragione le aiutiamo. È importante sapere che se non ci fossero gli agricoltori le api si sarebbero già estinte in tutta Italia».

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