Elio Pagliarani raccontato da Luigi Ballerini

Cultura

Nel nome dell’assoluta nitidezza del profilo letterario di Elio Pagliarani, uno dei padri della neoavanguardia, e con lo scopo di incoraggiare e valorizzare la scrittura poetica e la ricerca letteraria che dimostrino originali qualità creative ed espressive, proprio seguendo lo spirito sperimentale dello scrittore riminese, si rinnova oggi 24 novembre alle 17 l’appuntamento annuale col Premio Nazionale Elio Pagliarani, ideato dall’associazione letteraria a lui intitolata e promosso, tra gli altri, dalla Federazione Unitaria Italiana Scrittori (Fuis). La cerimonia del premio, articolato nelle sezioni poesia edita, poesia inedita, premio alla carriera, potrà essere seguita in diretta streaming sulla pagina Facebook del Premio Nazionale Elio Pagliarani.

Il premio alla carriera andrà per il 2020 all’opera di Tomaso Binga, pseudonimo della poetessa e artista Bianca Pucciarelli in Menna.

È interamente dedicato a Pagliarani anche il numero più recente della rivista letteraria fondata da Luciano Anceschi Il Verri (“Expandend Pagliarani”) con scritti dell’autore e saggi di Coviello, Niccolai, Cortellessa, Ballerini, Liberti, Marrucci, Picconi, Alvino, Sorrentino, Pietrantonio, Mari.

La lunga fedeltà critica di Luigi Ballerini all’opera di Pagliarani ha offerto in questa occasione la pubblicazione del saggio “Elio Pagliarani drammaturgo (all’ombra del duomo)”.

Poeta, saggista e traduttore che vive tra Milano e New York, professore emerito dell’Università della California, Los Angeles, Ballerini ha tradotto autori come Herman Melville, James Baldwin, Gertrude Stein, Kurt Vonnegut.

È felice di essere interpellato a proposito di Pagliarani, suo compianto amico e maestro. Nel suo 4 per Pagliarani (Scritture editore) Ballerini ha sottolineato l’urgenza, da parte della critica, «di affrontare il discorso intorno al montaggio cinematografico, al collage poetico e, soprattutto, intorno al loro reciproco travasarsi nel testo».

Come nel libro più celebre dello scrittore riminese, La ragazza Carla, dove la poesia di Pagliarani, mentre annuncia la forma del romanzo in versi, mostra alla letteratura la materia viva di cui è fatta oggi la scrittura poetica.

Bellerini, la stesura de “La ragazza Carla” è oscillata da quella di un romanzo a un quasi film, fino ad apparire soprattutto un poemetto. Qual è il motivo?

«Per Pagliarani il ritmo era la cosa più importante, il battito, la cadenza, la voce. La ragazza Carla ha brani ritmati nelle maniere più diverse. Dall’endecasillabo alla prosa. E contano moltissimo gli stacchi: “Marcia/ quest’anno / il campionato / che è un piacere”. Un poemetto in viaggio verso il teatro».

In che maniera quello che lei definisce «un processo di maturazione dell’intendimento poetico» portò Pagliarani lontano dalla velleità di proporre il soggetto a De Sica e Zavattini?

«Per evitare le “zavattinate”, io credo, le scene strappacuore magari sottolineate da musiche melense. Vedi per esempio Umberto D.».

E in che misura l’evoluzione stilistica, segnata come lei sottolinea dalla sua necessità di adeguarsi «agli agoni del proprio tempo», fece di Pagliarani «un testimone di un disagio della civiltà»?

«Quello di Pagliarani è un raro esempio di poesia che si immerge consapevolmente nella realtà. Questo vuol dire che nella sua poesia le tematiche non vanno disgiunte da una necessaria e diligente ricerca stilistica. Pagliarani si pone il problema della congruenza formale tra forma metrica e argomento. Decide magari di scardinarne le obbedienze (per la riflessione filosofica la canzone, per la corrispondenza il sonetto, eccetera) verso una forma aperta prima ( Carla), apertissima dopo ( Rudi), a pedale accorciato (Esercizi, Savonarola e frammenti). Particolarmente significativa appare la citazione che Pagliarani fece della frase di Eliot sulla forza sociale che acquista la poesia quando è proposta in forma teatrale».

Quello di Pagliarani drammaturgo fu quindi «un processo dalla pagina alla scena e dalla scena alla pagina»?

«Sì, Elio ha trasformato in drammi per radio intere pagine di Rudi (il tassista clandestino). Ha chiamato le sue composizioni “poesie da recite” e ci sono brani del Faust di Copenhagen che potrebbero benissimo reggere come poesie isolate. Per questo consiglio la lettura del volume sul teatro della neo-avanguardia di Gianluca Rizzo, appena pubblicato in America dalla University Toronto Press».


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