Effetti Coronavirus sui ristoranti nel riminese, i cinesi chiudono

Rimini

RIMINI. La paura del Coronavirus è entrata dalle porte dei ristoranti e dei negozi. Cambia le abitudini e spaventa i commercianti. Di fianco a chi sceglie di restare a casa, però, c’è anche chi continua a fare le cose di sempre, ad uscire e ad andare a mangiare fuori, testimone di una vita che va avanti, anche nonostante il virus arrivato dalla Cina. Con loro, ci sono i ristoratori coraggiosi, come i fratelli Canducci della trattoria Delinda di Vergiano, che nonostante le tavolate cancellate, scandiscono a parole decise l’intenzione di tenere aperto. «Il nostro è un servizio fondamentale - dicono - anche se c’è meno gente lo vogliamo garantire». C’è però anche chi preferisce prendersi “una pausa”, «chiudendo per un po’, probabilmente fino a quando non riapriranno le scuole». Sono i titolari del ristorante cinese e giapponese Hokkaido di Santa Giustina, Lulu Chen, Hengte Chen e il sushiman, Francesco Lin, che comunicano la decisione di tenere le porte del ristorante chiuse per un po’ di tempo, «per precauzione», spiegano.

Preferiamo chiudere

Secondo i ristoratori, infatti, «anche in Italia, come in Cina, bisognerebbe fare la quarantena». «È chiaro che chiudere ci metterà un po’ in crisi - ammettono - ma la salute pubblica è più importante». In realtà, però, come precisano, «negli ultimi giorni, dopo lo scoppio della malattia nel Nord Italia, avevamo meno clienti, come del resto molti ristoranti cinesi. Infatti, sappiamo che diversi altri hanno chiuso». Di fronte al provvedimento preso dai titolari di Hokkaido, che puntualizzano di stare tutti bene, c’è ora il dispiacere degli abitanti del paese, vicini all’esercizio commerciale, definito «uno dei principali punti di riferimento per Santa Giustina».

Tavolate cancellate

Oltre ai ristoranti cinesi, a soffrire per sono le trattorie e i locali tipici romagnoli. Dall’osteria La Grotta rossa riferiscono di «tavolate da cinquanta persone cancellate», oltre che di «un calo del 20 - 30%», con diverse disdette e un calo di presenze a partire dallo scorso week end. «Felici non siamo di certo - dice la proprietaria, che aggiunge - per il momento siamo aperti». La situazione non è molto diversa alla trattoria Delinda, dove Marina Canducci, titolare insieme ai fratelli, riferisce già di un «fatturato dimezzato», motivo per cui ha già previsto la possibilità di «far fare meno ore ai miei dipendenti, perché essendoci meno clienti, serve meno personale». «Non voglio lasciare a casa nessuno, e non ci penso nemmeno a chiudere - tranquillizza - io voglio stare aperta, anche oggi (ieri, ndr) ho avuto persone che vengono da fuori, qui per lavoro. Come si fa a lasciare chiusi i ristoranti?».

Intanto, però, come riferisce, le disdette sono arrivate: «In un tavolo di dieci signori, in quattro non si sono presentati per paura del virus. E altre disdette le sto ricevendo per il fine settimana, anche se ho tavoli prenotati». Al Bastian contrario, invece, hanno «cancellato un tavolo da 40 persone, oltre ad altre disdette, sempre per il week end». «Si soffre, ma non troppo pesantemente, e noi vogliamo restare aperti», riferisce quindi Mattias, il titolare, spiegando che invece lo scorso week end è stato «normale». Calo sì, ma meno forte, è quello denunciato da Massimiliano, uno dei titolari del ristorante La Mi Mama, che indica tra le cause delle cancellazioni la sospensione delle sedute di laurea, e l’eliminazione degli eventi sportivi. Diminuzione di presenze anche al Bio’s Kitchen «soprattutto per lunedì, ma tra martedì e mercoledì la situazione è andata un po’ migliorando, anche perché noi siamo un punto di riferimento per l’alimentazione sana e i nostri clienti lo sanno».

Beata gioventù

Perché i ristoranti romagnoli sembrano “patire” più degli altri, lo spiega Fabio Ubaldi, titolare di diverse attività commerciali riccionesi. «Al Pastrocchio o al Birrodromo ho riscontrato un leggero calo - dice Ubaldi - perché è venuta a mancare soprattutto la clientela di fascia “matura”, quelli che usa Facebook, per intenderci». «Gli “Instagrammer”, quindi i giovani, invece, sono venuti in tantissimi, forse per una maggiore incoscienza, o forse perché si sono fatti contagiare meno dalla paura che circola su Facebook. La loro presenza mi ha permesso di sopperire al calo dell’altra clientela. I ristoranti di sushi, invece, vanno peggio, per colpa di chi associa, sbagliando, il cibo giapponese a quello cinese».

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