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Uomini, guardiamoci negli occhi: il problema siamo noi

Il femminicidio di cui è stata vittima Giulia Cecchettin è solo l’ultimo, devastante episodio di un problema dai contorni molto nitidi: uomini che ammazzano le donne. O, per farla ancora più breve: il problema sono gli uomini. Partiamo da qui: il problema sono gli uomini. Non la società, le coppie, le relazioni: gli uomini, e ciò che fanno alle donne. Per mettere un freno al dramma del femmicidio in Italia, non c’è altra strada che educare gli uomini, a partire dalla cultura in cui crescono. Ripenso alla mia adolescenza: l’unico, enorme messaggio che un ragazzo maschio della mia generazione riceveva era incentrato sul numero di ragazze da portarsi a letto. Chi non partecipava alla competizione era “diverso” (i termini erano, manco a dirlo, differenti). Questo messaggio veniva ripetuto senza sosta nella quotidianità, e amplificato dalle tv e dall’Internet allora agli albori. Educazione sessuale o affettiva a scuola? Forse un paio di ore in terza media, grazie alla buona volontà di una professoressa. Nulla al liceo. Se ripenso al me stesso adolescente, devo ammettere che sì, sono cresciuto in un mondo machista, denso di stereotipi, in cui eri uomo solo se facevi determinate cose (scopare, andare forte in macchina, fare a botte). Il giudizio sulla virilità era demandato a una giuria tutta maschile, che si riuniva di volta in volta al bar, sotto le docce dopo l’allenamento, all’intervallo. Tutto questo a Cesena, nei primi anni duemila.

La mia fortuna – e di altri amici con cui mi sono confrontato in questi giorni per parlare di questi argomenti – è stata quella di poter ascoltare messaggi opposti. In famiglia, agli scout, all’università. Ho avuto una rete di protezione che ha sempre bilanciato il maschilismo e machismo di cui sopra, aiutandomi a formare la mia identità. Per questo mi ritengo privilegiato. Ma chi non ha avuto questa possibilità? Quante generazioni di uomini sono cresciute senza dubitare della validità del modello patriarcale, disegnato da uomini per altri uomini? Quanti miei coetanei, ora adulti, accettano veramente che le proprie mogli e compagne abbiano una vita indipendente che non rientri sotto il proprio controllo? Quanti maschi sono disposti ad accettare che le donne facciano più carriera di loro, guadagnino più soldi, partano per lavoro o per le vacanze senza dover rendere conto a nessuno? I femminicidi di oggi crescono in questo brodo di coltura. Non si prosciugherà fino a quando non verranno messi in discussione i pilastri su cui si basa. Ma cosa fare? Serve necessariamente veicolare messaggi diversi, e serve che a farlo sia la scuola. Dissento profondamente da chi sostiene che l’educazione affettiva e sessuale appartiene alla famiglia. La famiglia non basta, lo vediamo ogni giorno. I femminicidi in Italia sono un dramma sociale e vanno affrontati a livello di società. Servono specialisti e psicologi, terapisti e insegnanti. A scuola, in orario scolastico, per tutti. Ma siccome non è tollerabile aspettare 20 anni per un cambiamento culturale al prezzo di oltre cento femminicidi l’anno, è necessario che da subito gli uomini si occupino degli uomini. Occorre che gli uomini parlino di queste cose, che le affrontino nella loro drammaticità, che abbiano il coraggio di andare contro idee e comportamenti anche se vuol dire andare contro amici e conoscenti. Parliamone, parlatene, guardiamoci negli occhi. Il problema sono gli uomini. Il problema siamo noi.

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