Una lezione che arriva dai bambini

Nel nostro lavoro non si finisce mai di imparare. Capita che un direttore di giornale sia invitato da una scuola. Il confronto è stimolante, soprattutto con i bambini delle elementari. Uno di loro, dopo avermi chiesto tutto il possibile sulla prima pagina, ha lanciato un siluro: «Perché non pubblicate mai notizie dell’Australia?».
Un colpo da ko che arrivava all’indomani di una lezione di geografia. Dopo una pausa mi sono reso conto di non riuscire a rispondere. La nostra categoria trascura un continente, dove vivono persone come noi che studiano, lavorano, praticano sport, aprono aziende, pilotano aerei. Siamo distanti, è vero, ma i chilometri non giustificano l’indifferenza per un angolo di mondo. Ho sottolineato il problema dei costi per tenere aperto un ufficio di corrispondenza a Sydney, il fuso orario. Poi ho preso coraggio: «I quotidiani nazionali hanno una visione sempre più ristretta, la sezione esteri si è ridotta, ma onestamente non so dirvi perché nessuno segua l’Australia. Forse diamo per scontato che non interessi ai lettori». Uscendo da quell’aula mi sono posto molte domande e trovato qualche risposta. Vale sempre la regola “Chi cerca trova”.
Se passi una giornata in Parlamento qualcosa porti a casa, un’intervista con un politico, un’indiscrezione, uno spunto. Se non ci vai mai non troverai nulla. Idem per comune, tribunale, ospedale. David Randall nel saggio “Il giornalista quasi perfetto” scriveva: «Il buon giornalismo è intelligente, divertente, affidabile dal punto di vista delle informazioni, onesto nelle intenzioni e negli effetti, usa un linguaggio originale e non serve altra causa se non quella della verità. Questo tipo di giornalismo potrebbe essere pubblicato ovunque, perché è universale in tutti i sensi della parola: quasi perfetto». Dunque buono per l’Italia e per l’Australia. A proposito, quando si parte?

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