Pizzolante: confusione Covid

Editoriali

L'altro giorno sono andato in farmacia. Vuole le mascherine? Mi hanno subito chiesto. No un antidolorifico. Ho risposto. È già iniziata la corsa ad accaparrarsi tutto il possibile, perché non si capisce niente. Perché non si ha fiducia in niente. Tornano ad imperversare virologi e immunologi, dicono le stesse cose, ma non tutti le stesse, da 6 mesi. Ok, lavarsi le mani, mettere la mascherina, distanziamento. Va bene, però adesso basta.

Fate il vostro lavoro, per favore, ne abbiamo bisogno, ma basta riempire tutti gli spazi, di tutti i giornali, di tutte le trasmissioni televisive, 24 ore su 24, per dirci che bisogna lavarsi le mani. E basta parlare uno contro l’altro, dire tutto e il contrario di tutto.
E basta dire che non sapete nulla della malattia, che non conoscete il virus, che non conoscete i rimedi propri, e però, sapete tutto su quante persone della famiglia possono pranzare insieme la domenica. E come stare a tavola.
Non siamo a “cortesie per gli ospiti”.
Ministro Speranza, noi siamo in 8. Chi devo cacciare?
I vicini sono in 9, chi devo chiamare per la denuncia?
E dopo aver compromesso la nostra psiche, per i prossimi decenni, parlando impropriamente di “distanziamento sociale” anziché di “distanziamento fisico”, basta con il terrorismo sulla casa, sulla famiglia, come luoghi di massimo rischio di contagio.
E poi, non si affronta una tragedia cosi grande chiudendo le imprese e gli uffici pubblici , santificando lo Smart Working da casa, dichiarando, nello stesso tempo, la casa come luogo di maggior rischio.
Paradosso. Inoltre, non tutto il peso della risposta alla epidemia può essere poggiato sul comportamento delle persone. Ancor meno se i messaggi sono confusi, spesso contraddittori, a volte ridicoli. Occorre, è fondamentale, creare una relazione positiva fra il comportamento corretto delle persone e l’azione dello stato, del servizio pubblico.
Se mettere la mascherina è strumento fondamentale, le mascherine devono esserci. E bisogna dire con chiarezza quali. Quelle chirurgiche proteggono i miei interlocutori più che me stesso. Deve essere chiaro. Chiarissimo. E perché lo stato deve calmierare il mercato di mascherine che non mi proteggono adeguatamente e lasciare libero quello delle FFP2, che danno maggiore protezione? Da gennaio a settembre gli italiani hanno speso 98 milioni di euro per le mascherine. Calcolando solo il canale delle farmacie. Diciamo 200 milioni in tutto. Si calcola che per fornirsi di mascherine più protettive, ogni famiglia dovrebbe spendere dai 200 ai 500 euro al mese. È troppo pensare che una spesa di questo tipo possa essere messa a carico dello Stato? Certezza della disponibilità, certezza della efficacia, obbligo utilizzo. È così difficile?
Ancora. Si conoscono pochi farmaci utili, con una buona dose di efficacia, anche se non risolutivi. È troppo pretendere che siano disponibili da Bolzano a Caltanissetta e in quantità adeguata?
Abbiamo chiuso le scuole per sei mesi. Le abbiamo riaperte, dopo un intenso e ridicolo dibattito sui banchi, ma ci siamo dimenticati di intervenire sui trasporti. Usciamo da casa, ci accalchiamo sui mezzi di trasporto, prendiamo il virus e lo portiamo a scuola. Poi i bimbi lo portano a casa. E le autorità pubbliche ci dicono che dobbiamo stare distanziati a casa. Tavolo da sei. Invocando le denunce dei vicini. Corto circuito.
Dicono che in altri paesi è peggio. È vero. Ma pochi hanno raggiunto il meno 12 di Pil.
Stiamo, di nuovo, raggiungendo una situazione epidemiologica seria, ma ancora più poveri , più divisi, più confusi. Più di altri.
Servirebbe uno sforzo di unità nazionale. Di responsabilità. Di tutti i leader.
Ma sei seggiole intorno ad un tavolo non bastano per far sedere tutti.
Forse abbiamo segato il ramo della ragione, sul quale eravamo seduti. Un tempo.

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