Perché le donne povere dovrebbero insegnare alla Bocconi

Editoriali

Da poco sono usciti i numeri della Caritas riminese sugli aiuti erogati alle persone povere. Si legge che gli italiani sono quasi il 50% di coloro che hanno chiesto aiuto. Molti di loro risiedono da tempo nei comuni dell’area riminese. Fino a poco tempo la stragrande maggioranza degli aiuti era erogata agli stranieri, segno quindi che oggi la crisi ha colpito anche famiglie un tempo stabili e “normali”. Molti sono “working poor”, lavoratori poveri. O anche lavoratrici, donne. Donne che sono spesso anche madri e che sostengono intere famiglie. Queste donne hanno straordinarie capacità di management e dovrebbero venire ascoltate nei corsi di Business Administration, altroché gli startupper della Silicon Valley.

Essere poveri è un lavoro che dura 24/7: non stacchi mai. Le donne delle famiglie povere – italiane o straniere che siano - si occupano dei figli, cercano di risparmiare e spesso lavorano, sebbene in termini estremamente precari. Debbono calcolare, pianificare, elaborare strategie, essere flessibili. Sono in tutto e per tutto delle manager, con l’unica differenza che lavorano il doppio e non hanno fringe benefit. Queste donne si ingegnano per guadagnare pochi euro, riescono a ritagliarsi mini-occupazioni negli interstizi, sono creative per necessità. Devono fare cose sempre di fretta ed essere in grado di gestire gli imprevisti: una foratura della bicicletta, l’autobus che non passa o addirittura ritardi nei pagamenti. Devono avere sempre un piano B, C, D… Quello che nelle Business School patinate si direbbe “fare surf nell’incertezza e nelle contingenze”. Devono essere “resilienti” e capaci di adattarsi alle situazioni. Valutano i contesti, progettano ed elaborano strategie. Esattamente come si fa nelle aziende.

Sanno che grazie alle connessioni, al loro “capitale sociale”, possono accedere a più informazioni. Informazioni che possono tramutarsi in opportunità, magari un lavoretto o un affitto non proibitivo. Oppure l’indirizzo di un meccanico che ti mette a posto la macchina a poco prezzo o che ti fa trovare dei pezzi di ricambio usati. Il loro budget lo conoscono bene: entrate e soprattutto uscite. Calcolato e ricalcolato meticolosamente, quasi fossero una società di certificazione di bilanci. Ma c’è anche un budget delle emozioni e questo ha spesso il segno meno. Tante volte le cose non vanno come previsto, ma loro non possono buttarsi giù, né parlarne con uno psicanalista. Non è raro che vivano situazioni aspre con uomini che non le rispettano in ambito lavorativo o in altri contesti sociali (dalla canzonatura alla discriminazione, se non razzismo o peggio).

Le vediamo: si vestono più o meno come noi. Ma se le incontriamo il giorno dopo, i vestiti sono gli stessi, seppure dignitosi e puliti. Le vediamo: entrano nei bar a bere un cappuccino proprio come noi, solo che per loro è una gratificazione rara e preziosa, mentre per noi è un’abitudine quasi inconscia. La prossima volta offriamoglielo noi il cappuccino. Ma non per paternalismo o carità pelosa: loro in cambio ci racconteranno qualche trucco su come si gestisce un’azienda.

Antonio Maturo, Professore di Sociologia
Università di Bologna, Campus Romagna

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