Pari: i 50 anni dello statuto dei lavoratori

In un silenzio quasi assordante, la legge del 20 maggio 1970, n° 300 , denominata successivamente  statuto dei lavoratori, ha compiuto cinquant’anni. Eppure, è una pietra miliare del diritto del lavoro. Per la sua conquista, sono stati necessari decenni di lotte sindacali, battaglie politiche, aspri contrasti tra imprenditoria e lavoro. Uno dei protagonisti, nella realizzazione della storica legge, il dott. Giacomo Brodolini, sindacalista, divenuto ministro del lavoro e della previdenza sociale.

Sotto il suo ministero, fu istituita la prima commissione deputata alla realizzazione di una bozza, da lui denominata “statuto dei diritti dei lavoratori”, presieduta da un docente universitario, Gino Giugni, “ il padre dello statuto”.   Purtroppo, l’on. Brodolini è deceduto prima di vedere realizzato il suo sogno, portato avanti con altrettanto vigore dall’on. Carlo Donat Cattin, anche lui ex sindacalista. Fondamentali le lotte sindacali, sfociate nell’autunno caldo, collegato alle scadenze contrattuali, prosecuzione delle contestazioni studentesche, iniziate nel “sessantotto”. Anni storici, distinti per impegno e partecipazione, lotte, conquiste sociali. Per alcuni troppo politicizzati, sicuramente da esecrare la parte violenta, ma oggettivamente lontani dai comportamenti di oggi, ove troppo spesso, anzichè impegnarsi per un futuro migliore, ci si accontenta tristemente di uno “spritz”. Lo statuto dei lavoratori è una legge di assoluta civiltà, oltre quaranta articoli, dedicati alla libertà di opinione, al diritto di associazione e attività sindacale, alle tutele sugli atti discriminatori, alle garanzie di reintegra, e tanto, tanto altro. In questi cinquant’anni, sono stati molteplici i tentativi di ridurne l’efficacia, pensando che contraendo le garanzie e la libertà, si possa aumentare la competitività. Purtroppo, spesso, si continua a contrapporre imprenditore a lavoratore. Non esiste impresa senza lavoro, come non esiste lavoro senza impresa. L’imprenditore deve essere in grado di tutelarsi dai comportamenti non consoni dei dipendenti. I lavoratori, hanno il diritto, anzi il dovere, di tutelare la loro prestazione e la loro dignità. Sono presupposti fondamentali, per misurare il livello di civiltà di una nazione. Il sindacato e le associazioni datoriali, sono gli organi deputati alla perenne mediazione. La politica è intervenuta con le leggi, a mio avviso, non sempre consone. Negli ultimi anni, per cercare di rendere le imprese più competitive sui mercati globali, si è aumentata in modo esponenziale la precarietà del lavoro, per ridurne il costo. Tutto questo, ha temporaneamente consentito, di scaricare sui lavoratori la problematica, dovuta ad una tassazione eccessiva. In sostanza, anzichè ridurre le spese dello Stato, per poi ridimensionare la tassazione sul lavoro, rendendolo più competitivo per le imprese, ma anche più remunerativo per i lavoratori, si è preferito precarizzarlo. Devastante il risultato. Il lavoro, soprattutto privato, ma non solo, in troppi casi è divenuto “povero”. Significa che il lavoratore, non sempre riesce ad avere un tenore di vita consono e dignitoso. Raramente ha possibilità di progredire o fare ad acquisti di beni durevoli. Inoltre, si è sostanzialmente decapitato il mercato interno dei consumi, con tutte le drammatiche conseguenze sulle imprese, di conseguenza, sui conti dello stato. Rimane l’auspicio, che le nuove generazioni possano riacquisire l’enfasi sociale di coloro che ci hanno preceduto, grazie ai quali, si è conquistata una delle migliori leggi sul lavoro: la legge 20 maggio 1970 n°300. Emblema di saggezza e civiltà. 

*Giornalista , Docente, Referente di sede d’esami universitaria

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