Non mi piace chi insulta il dissenso

Non mi piace chi insulta chi dissente. Non mi piace chi offende un’intera comunità e una città. Mi piace ancora meno se a farlo è un ministro dell’Interno e vicepremier. E ancor di meno se al suo fianco si schiera chi si candida a gestire quella città (e quel dissenso) per i prossimi cinque anni. Purtroppo invece c’era tutto questo nel comizio di Matteo Salvini martedì pomeriggio in piazza Almerici a Cesena (e poco di meno nel bis in piazza a Forlì). Per carità, siamo in campagna elettorale (Salvini non l’ha mai terminata), i toni si alzano per far presa sugli elettori indecisi dell’ultima ora, ma le parole hanno un peso.

E insultare un’intera città descrivendola a tinte fosche e come un posto dove lavorano solo i raccomandati, bollare chi dissente come uno che si fa le canne o non ha voglia di lavorare, non è il modo migliore per presentare il programma di governo di quella città. Parole di Salvini, certo, ma il candidato Andrea Rossi era lì, al suo fianco (o meglio ai suoi piedi visto l’atteggiamento accondiscente anche di fronte a quegli insulti). Ma cosa devono aspettarsi i cesenati in caso di vittoria di Rossi? Un consiglio comunale in cui le opposizioni saranno insultate ad ogni intervento? Un dialogo nei quartieri a colpi di slogan ed offese? Una città divisa in buoni e cattivi? O dirà che scherzava? (ma certi scherzi sono pesanti).
Tutto può essere migliorabile, ma esperienze come Carta bianca hanno permesso a Cesena di crescere come comunità nel dialogo tra istituzioni e cittadini. Nel dialogo c’è l’ascolto di chi dissente. L’insulto fa effetto, ma preclude il dialogo. E senza dialogo una comunità non cresce. Caro Rossi, per il bene di Cesena prenda le distanze da una simile visione di comunità e ci dica che le parole del ministro in realtà erano solo lo show comico (o tragico) a corredo del suo comizio.

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