Natalini. Se un riminese del 2100...

Editoriali

La regione mediterranea, in base al recente studio “Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in Italia” del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici” è considerata uno degli “hot spot” del cambiamento climatico, con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale.
Tenendo sempre a mente questo dato scientifico, proviamo a pensare ai nostri figli o nipoti (o a chi nato adesso avrà 80 anni a fine secolo), proviamo a immaginarci se uno di loro dal futuro, ossia dal 2100, potesse assistere alle nostre discussioni di oggi, se potesse osservarci da una Rimini in cui probabilmente si lotterà per accaparrarsi la poca acqua disponibile durante l’estate, si dovrà fare i conti con il livello del mare innalzato per lo scioglimento dei ghiacciai e quindi con una crescente erosione costiera, un’agricoltura arsa dal calore e dalla siccità e quindi una sicurezza alimentare a rischio, un’aria sempre più inquinata (già ora, in base ai rapporti annuali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, registriamo circa 70 mila morti premature l’anno in Italia, soprattutto in Val Padana, più del COVID).

Si dovrà altresì fare i conti con un mare Adriatico che, a causa delle elevate temperature delle sue acque superficiali, avrà cambiato radicalmente la composizione di specie presenti con conseguenze sulla pesca professionale assolutamente non prevedibili.
Vi sarà inoltre una pressione fortissima sul sistema elettrico perché senza aria condizionata non si potrà vivere decentemente e le centrali elettriche, a causa delle elevate temperature, saranno sempre più frequentemente esposte a black-out . Gli eventi meteo estremi, passati da 142 nel 2008 a 1.668 nel 2019 (con oltre 200 vittime e decine di miliardi di danni), renderanno difficile ogni forma di resilienza. Cosa penserebbe? Che siamo stati responsabili? Che abbiamo fatto tutto il possibile e agito di conseguenza e tempestivamente, nonostante gli avvertimenti inequivocabili degli scienziati e quelli, altrettanto inequivocabili, di un Pianeta malato?. Non è questa la domanda, il messaggio, il grido di allarme e di dolore lanciato dalla generazione dei Fridays for Future? Non solo: i figli e i nipoti dei bagnini e albergatori nostri contemporanei, se continueranno l’attività dei loro padri o nonni, dovranno affrontare la concorrenza di nuove destinazioni turistiche, ossia delle spiagge dei mari del nord, in primis quelle del mar Baltico, che diventeranno la meta privilegiata per tedeschi, scandinavi, francesi, russi e anche italiani che vorranno fuggire da città surriscaldate e godersi un clima più mite al mare, e che sicuramente non saranno attratti da spiagge mediterranee avvolte in un caldo africano. Gli studi sulla mortalità collegata alle ondate di calore hanno ampiamente dimostrato che le categorie più vulnerabili sono gli anziani, i bambini e i pazienti con patologie in atto, a cui si aggiungono i più poveri (già oggi 38 milioni di europei vivono in condizione di povertà energetica, ossia senza riscaldamento/raffrescamento). Catastrofismo? No. Realismo e principio di precauzione, a cui si ispirano tutte le politiche ambientali dell’Unione Europea. D’altra parte, basta leggere lo studio suddetto, i rapporti dell’IPCC delle Nazioni Unite, della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, del CNR e altri, tutti scaricabili da Internet. Non sono così ingenuo da pensare che il Parco Eolico sia la soluzione a tutto questo. Servirà uno sforzo gigantesco e coerente da parte di tutti, soprattutto da oggi al 2030, in coerenza con la strategia climatica europea, e quindi una modifica radicale degli stili di vita, un minore consumo di energia, perché quella non consumata è la più verde in assoluto, diffondere ovunque è possibile il fotovoltaico, la geotermia, le biomasse, insomma tutta la filiera delle fonti rinnovabili. Però intanto questo progetto c’è e se realizzato (con tutte le migliorie possibili e sostenibili) darà un contributo tangibile, misurabile alla transizione energetica ed ecologica non più procrastinabile. Gli aerogeneratori sarebbero posizionati ad una distanza minima di circa 13,5 km dal porto e dalla spiaggia di Rimini, a 13 km da quella di Riccione e 12 km da quella di Misano e Cattolica.
Nei pochi giorni tersi e limpidi le torri eoliche sarebbero visibili e ciò potrebbe inizialmente dare fastidio ad alcuni, poi ci si abituerà (come accadde a quei parigini inizialmente ostili alla Torre Eiffel, definita “mostro di acciao”, e come è accaduto per il tralicci dell’alta tensione); per altri la vista dell’impianto sarà indifferente, per altri ancora sarà rassicurante e segno tangibile di un territorio che si è assunto le proprie responsabilità verso il clima e il pianeta, e verrà a Rimini proprio per questo.
La riminizzazione della costa ha arrecato un danno permanente al paesaggio e alla bellezza; il parco eolico sarebbe realizzato con materiale riciclabile al 90/95%, e una volta smontato tra 25-30 anni, quando la ricerca e l’innovazione ci avranno fornito tecnologie per l’energia rinnovabile più evolute, non lascerebbe traccia. A chi esplicitamente e più velatamente lasciano intendere che il mio aperto sostegno a questo progetto, e quello di colleghi e amici, è legato alla possibilità di ottenere finanziamenti europei, vorrei dire che non conosco alcun programma europeo che abbia fin qui finanziato con contributi a fondo perduto progetti di imprese private con queste caratteristiche e dimensioni. Forse a costoro sembrerà strano, ma esistono persone che fanno battaglie per convinzione e non per convenienza. Per me il cambio urgente del modello energetico (e quindi del modello di sviluppo) è una priorità assoluta, rispetto alla quale anche il nostro territorio deve fare la sua parte e non scaricare su altri le proprie responsabilità.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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