Natalini: nervi saldi in Europa

A cospetto della drammatica crisi sanitaria, economica e sociale che sta fronteggiando l’Europa (con punte molto gravi in Italia, Spagna, Francia, un po’ meno altrove) con decine di migliaia di vittime e un crollo del PIL che per il 2020 potrebbe arrivare fino al 13% per l’area euro (circa 1.600 miliardi di euro di distruzione di reddito-stima Unicredit), l’Europa comunitaria sta facendo la sua parte.

La BCE inietterà entro il 2020 circa mille miliardi nel sistema finanziario europeo comprando i titoli di debito pubblico (in primis i nostri, finanziando il nostro deficit aggiuntivo più una parte dei titoli in scadenza entro l’anno; senza la BCE l’Italia salterebbe per aria; lo sanno anche i sovranisti nostrani); la Commissione Europea ha sospeso i vincoli di bilancio previsti dal Patto di Stabilità e Crescita, ha rivisto la normativa sugli aiuti di stato, ha lanciato SURE, una sorta di cassa integrazione europea dotata di 100 miliardi, più altre iniziative; la BEI-Banca Europea degli Investimenti ha attivato un fondo di garanzie e prestiti a sostegno delle PMI pari a 200 miliardi di euro. Mancava all’appello l’Europa intergovernativa, ossia quella del Consiglio Europeo (il vertice dei capi di stato e di governo degli Stati membri dell’Unione) e del Consiglio (i vertici dei ministri degli Stati membri competenti per materia). Già, perché le misure messe in campo dall’Europa comunitaria, pur molto rilevanti, non sono sufficienti. Fin dal Consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze di martedì scorso è nato uno scontro durissimo in seno all’Europa intergovernativa tra chi (come l’Italia, sostenuta da Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Slovenia, Belgio, Lussemburgo e Grecia) sosteneva la necessità di rispondere ad una crisi eccezionale con strumenti nuovi ed eccezionali (un “European recovery plan”), all’insegna di un’autentica solidarietà e unità europea, e chi come Olanda, Germania, Austria e Finlandia sosteneva che fosse sufficiente utilizzare gli strumenti già esistenti, in particolare il MES-Meccanismo Europeo di Stabilità. Come è andata a finire? Il Consiglio ha raggiunto giovedì un compromesso che prevede la conferma di SURE, le garanzie e i prestiti della BEI e la possibilità di ricorrere al MES per 240 miliardi di euro, senza condizioni (il rischio della famigerata troika) solo per prestiti che riguardano i costi diretti e indiretti di spesa sanitaria, cura e prevenzione, non la ricostruzione economica. Dal MES (che è uno strumento intergovernativo, frutto di un Trattato ad hoc sottoscritto dagli Stati membri, gestito da un proprio board non dipendente dalla Commissione Europea), ogni Stato membro può ricorrere per un ammontare non superiore al 2% del proprio PIL (per l’Italia circa 36 miliardi). Mettendo insieme i vari strumenti, la “copertura” europea nei confronti dell’Italia è pari a circa 80-90 miliardi (più i 220 miliardi di titoli del debito che la BCE acquisterà entro l’anno), una cifra rilevante ma non sufficiente, anche perché il nostro Paese (così come la Spagna) probabilmente non ricorrerà al MES. Non sufficiente per noi, ma anche per molti altri Paesi europei. Servono almeno altri 500/1.000 miliardi per ricostruire l’Europa. Nel documento conclusivo del Consiglio suddetto è inserita la proposta del “Recovery plan”, voluta dalla Francia e dall’Italia. Gli aspetti giuridici e pratici di tale fondo saranno oggetto del Consiglio Europeo previsto per dopo Pasqua, che sarà altrettanto duro e difficile, anche perché il governo tedesco e l’Olanda (addirittura con due mozioni votate in Parlamento) hanno confermato il loro no agli eurobond. Tuttavia, in questo contesto difficile e drammatico, in cui si sta facendo la storia in tempo reale dobbiamo mantenere la mente fredda e lucida, ricordando a noi stessi che l’Europa unita è una necessità storica, in primo luogo per noi italiani, non un’opzione tra le tante. E dobbiamo cogliere l’articolazione del dibattito in Europa: il presidente della banca centrale olandese, ad esempio, condivide le proposte di Italia e Francia, così come l’esponente tedesco del board della BCE. Il dibattito sui media tedeschi è molto differenziato. Al “Die Welt” che vergognosamente titola “la mafia aspetta i fondi da Bruxelles”, lasciando sottendere che quella sarebbe la destinazione degli eurobond pagati anche dai tedeschi, fanno da contraltare altre prese di posizione (Der Spiegel ha attaccato, con un titolo in italiano, l’egoismo del governo tedesco; Bild, i Verdi, l’SPD ecc.) molto più vicine alle ragioni italiane. L’errore che assolutamente non dobbiamo correre è inseguire lo schema semplicistico noi/loro, amici/nemici dei populisti/sovranisti, insomma il fare di tutta l’erba un fascio (vedi il post di Salvini “Germania vergogna”, oltretutto proprio nel momento in cui decine di nostri connazionali sono curati nelle terapie intensive degli ospedali tedeschi). Il grande filologo tedesco Viktor Klemperer, in uno splendido libro del 1947, aveva già analizzato come nella costruzione del capro espiatorio i bersagli della propria propaganda andassero ridotti ad un unicum, senza alcuna distinzione analitica perché quest’ultima avrebbe potuto suscitare dubbi e quindi accendere la fiaccola del ragionamento nelle masse. Un pericolo che i demagoghi non possono correre.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE.

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