Natalini: le menzogne anti Unione europea

Editoriali

Uno dei campioni in Europa dei sovranisti, Boris Johnson (l’attuale premier del governo britannico) è stato citato nei mesi scorsi in tribunale da un giovane imprenditore inglese (Marcus Ball) perché durante la campagna elettorale del 2016 per la Brexit ha raccontato agli elettori britannici la menzogna secondo cui il suo Paese versava a Bruxelles 350 milioni di sterline alla settimana. Questa menzogna, unitamente a molte altre, ha contribuito agli esiti negativi del referendum. ei giorni successivi alla vittoria del “leave” centinaia di migliaia di elettori britannici hanno cliccato su Google le parole “European Union”.

Si erano resi conto di aver votato al referendum senza avere un’esatta cognizione della posta in gioco, e a posteriori hanno cercato di capire che cosa fosse veramente l’Unione Europea. Noi italiani eravamo i più filo-europei fino a 10 anni fa; adesso siamo diventati tra i più euro-scettici (anche se i sondaggi rivelano che comunque il 65% dei nostri connazionali è favorevole all’euro). Temo che sia quando eravamo euro-entusiasti, sia adesso, su che cosa sia realmente l’Unione Europea molti italiani non abbiano le idee molto chiare. Che cosa è accaduto nell’ultimo decennio?
È accaduto che la gravissima crisi finanziaria, divenuta poi economica e sociale, intrecciandosi con il fenomeno destabilizzante dell’immigrazione, ha fornito ai sovranisti nostrani (in primis Salvini e Meloni) un prezioso carburante per sistematiche campagne anti-UE, spesso basate su menzogne. La menzogna madre di tutte le altre è che sono i vincoli europei, e quindi la perduta sovranità nazionale in materia monetaria e di bilancio, che hanno causato la crisi che ha colpito molte famiglie ed imprese e che impediscono oggi la crescita del nostro Paese.
Se nello stesso periodo il Belgio ha ridotto drasticamente il proprio debito pubblico (in termini percentuali sul PIL era analogo a quello italiano) senza fare macelleria sociale, Spagna e Portogallo sono cresciuti molto più di noi (anche loro hanno l’euro e sono sottoposti ai vincoli del Trattato di Maastricht), l’Italia stessa è diventata uno dei paesi esportatori più importanti al mondo (senza ricorrere alle svalutazioni competitive dei tempi della lira), dobbiamo affrontare il tema dell’appartenenza dell’Italia all’UE da una prospettiva diversa.
A mio avviso la ragione di fondo per cui l’Italia cresce meno degli Paesi altri Paesi UE quando l’economia europea cresce, e arretra di più nei cicli economici negativi, è che la nostra adesione all’euro (e ai suoi vincoli ) doveva essere l’occasione storica per una modernizzazione sistemica profonda del nostro Paese, che fin qui non è riuscita perché l’insieme delle classi dirigenti italiane non è stata all’altezza della sfida.
Al riguardo, credo che ciascuno di noi (in primo luogo i sovranisti nostrani) dovrebbero porsi delle domande molto semplici: cosa c’entrano i “tecnocratici” di Bruxelles, i “poteri forti”, la Merkel, Macron ecc. sul fatto che:
1) L’Italia nel 1992, prima dell’avvento del Trattato di Maastricht (entrato in vigore il 1° novembre 1993), aveva già un debito pubblico in rapporto al PIL pari al 105% (dati Banca d’Italia), tra i più alti al mondo;
2) La produttività ristagna, per i ritardi nell’innovazione tecnologica (dovuta anche alle dimensioni troppo piccole delle imprese);
3) Le opere pubbliche costano mediamente molto di più rispetto a Francia, Germania, Spagna e centinaia giacciono incompiute;
4) La previsione di investimenti pubblici rimane spesso sulla carta; ci vogliono anni per trasformare le previsioni di bilancio in cantieri;
5) Esiste un’elevata e diffusa evasione fiscale;
6) Il sistema pubblico (procedimenti, autorizzazioni, giustizia amministrativa ecc.) sembra concepito per complicare la vita ai cittadini e alle imprese, anziché agevolarla e quindi semplificarla;
7) Intere regioni sono infiltrate dalla criminalità organizzata e il livello di corruzione, che incide sulla spesa pubblica, rimane tra i più alti al mondo (100 miliardi di €euro in 10 anni);
8) A 158 anni dall’unità d’Italia, abbiamo ancora una questione meridionale (la Germania, in meno di 30 anni ha risolto buona parte dei problemi, certo non tutti, della sua parte orientale);
9) Abbiamo enormi ritardi nell’ambito delle competenze digitali, sulle quali (unitamente al cambiamento climatico) si gioca il nostro futuro;
10) Un terzo degli studenti in uscita dalla scuola dell’obbligo non è in grado di comprendere correttamente un testo in italiano.
Anziché costruirsi falsi (e demagogicamente facili) capri espiatori esterni (Bruxelles), dovremmo analizzare e migliorare di più noi stessi, la qualità delle nostre classi dirigenti e delle nostre virtù di cittadini e chiederci seriamente perché non riusciamo a fare sistema e comunità, ed essere quindi più efficienti nell’uso delle risorse e dei beni comuni.
Solo così avranno un senso e saranno effettivamente utili a ciascuno di noi gli investimenti in deficit, che stiamo negoziando di nuovo all’interno dell’UE, per modernizzare il nostro Paese, questa volta attorno al nuovo paradigma della green economy.
(*) Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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