Natalini. La CO2 che cresce e i no riminesi

Editoriali

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha ricordato che la pandemia sarà prima o poi sconfitta dal vaccino, mentre ciò non potrà accadere per la crisi climatica, molto più complessa e pericolosa, per la quale ovviamente non ci sarà mai alcun vaccino. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ne è talmente consapevole che non solo ha preannunciato il ritorno degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi, ma ha nominato John Kerry come incaricato speciale nel Governo e nel Consiglio di Sicurezza Nazionale sulla sfida del cambiamento climatico.

Il Giappone ha annunciato di voler raggiungere la neutralità climatica nel 2050, come l’UE, mentre la Cina nel 2060. La BEI-Banca Europea degli Investimenti sta diventando la Banca Climatica dell’UE (il 50% degli investimenti BEI sarà destinato nel prossimo decennio all’emergenza climatica, a cui sarà destinato anche il 37% del Next Generation EU), mentre il governo del Regno Unito, nell’ambito di un ambizioso piano di decarbonizzazione entro il 2030, vuole fare della city londinese una piattaforma mondiale della finanza verde. La classe dirigente riminese, intesa come sindaci, a partire da quello del capoluogo, e dirigenti di associazioni di categoria è sintonizzata con la parte più consapevole e responsabile del Pianeta? A me sembra di no, se si analizza l’atteggiamento stroncatorio, a prescindere, assunto nei confronti del progetto di Parco Eolico al largo della costa riminese, utilissima cartina di tornasole, al di là degli aspetti di merito del progetto che ovviamente possono essere discussi e modificati, per capire chi ha preso realmente sul serio la sfida del cambiamento climatico e chi no. Già, perché i gas serra hanno raggiunto un nuovo preoccupante record, nonostante i blocchi e restrizioni introdotti in vari paesi in risposta alla pandemia. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), le emissioni giornaliere di biossido di carbonio potrebbero esser scese del 17% a livello globale, a causa del confinamento della popolazione. Tuttavia, calate, badate bene, non significa azzerate. «L’anidride carbonica rimane nell’atmosfera per secoli e nell’oceano ancora più a lungo», ha spiegato il segretario generale dell’Organizzazione, Petteri Taalas. «L’ultima volta che la Terra ha sperimentato una concentrazione di CO 2 comparabile a questa è stato 3-5 milioni di anni fa». Epoca in cui «la temperatura era di 2-3 ° C più calda e il livello del mare era di 10-20 metri più alto di adesso. Ma non c’erano 7,7 miliardi di abitanti». Questo significa che l’impronta umana è ininfluente sulla quantità di anidride carbonica, come sostengono i negazionisti del clima? No, tutto il contrario. «(Con la CO2) abbiamo superato la soglia globale di 400 parti per milione (ppm) nel 2015. E solo 4 anni dopo, le 410 ppm. Un tale tasso di crescita non si è mai visto nella storia.» Per fare un confronto, negli anni ’50 le prime rilevazioni evidenziavano concentrazioni stabili attorno a 310 ppm, mentre nel 1997, anno prima della firma del Protocollo di Kyoto (il primo accordo internazionale sul clima) oscillavano tra i 360 e 366 ppm. La WMO sottolinea come gli ultimi 5 anni siano stati anche i cinque più caldi mai registrati, mentre dal 1980 in poi ogni decennio ha rappresentato quello record per il caldo, a partire dal 1850. Le conseguenze sono evidenti anche nel nostro Paese e ognuno di noi dovrebbe conservarne memoria. Ne cito solo uno: in base al Rapporto 2020 dell’Osservatorio di Legambiente Città Clima , sono 946 i fenomeni meteorologici estremi dal 2010 ad ottobre 2020; di anno in anno sono sempre più frequenti e distruttivi, e fin qui hanno causato 251 vittime (a cui vanno aggiunte le 3 dell’ultimo evento che ha colpito le regioni meridionali e la Sardegna), senza considerare le 50 mila persone evacuate a causa di frane ed alluvioni. Certo, servono un piano di adattamento nazionale, che ancora non c’è, e tanti piani locali, che al momento non esistono, salvo rarissimi casi, ma in parallelo è necessario uno sforzo straordinario per abbattere la CO2, se vogliamo assicurare un presente e soprattutto un futuro più sicuro ai nostri figli e nipoti. Viste da quest’angolo di visuale, i tanti no riminesi contro il progetto di Parco Eolico mi appaiono fuori tempo, fuori luogo, sfasate rispetto alle reali urgenze del nostro tempo. Mi ricordano la sindrome della rana cinese, che se ne sta quieta nell’acqua tiepida che si riscalda lentamente, senza accorgersi che quando l’acqua comincerà a bollire sarà troppo tardi per saltare fuori dalla pentola e salvare la propria vita. Una riviera riminese che tra qualche anno rischierà di avere temperature estive elevatissime e un livello di umidità tale che il paesaggio marino sarà ancora meno visibile rispetto ad oggi (a proposito di “libertà dell’orizzonte”), un numero insostenibile di notti tropicali, carenze idriche, insicurezza alimentare, black out elettrici, avrà ben altri problemi da affrontare. Allora forse qualcuno ricorderà come occasione storica colpevolmente mancata queste parole: «Il cambiamento climatico è la sfida chiave del nostro tempo. La nostra generazione è la prima a sperimentare il rapido aumento delle temperature in tutto il mondo e probabilmente l’ultima che effettivamente possa combattere l’imminente crisi climatica globale». Sono prese dalla dichiarazione congiunta di 16 capi di Stato e di governi europei (firmata per l’Italia dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) in occasione della conferenza sul clima dell’ONU tenuta a Katowice, in Polonia. Tenendo sempre ben chiaro lo scenario suddetto, in base ai dati disponibili, in 30 anni (durata dell’eventuale concessione demaniale) la centrale eolica offshore al largo della costa riminese permetterebbe di risparmiare emissioni inquinanti e climalteranti pari a 14.700.000 tonnellate di CO2 (anidride carbonica), 18.900 tonnellate di SO2 (anidride solforosa), 12.600 tonnellate di NOX (ossidi di azoto). In altre parole, il Parco Eolico compenserebbe le emissioni annue di circa 150 mila auto, oltre 83 mila abitanti; per ottenere lo stesso risultato, servirebbero 24,5 milioni di alberi. A titolo puramente indicativo (i dati reali dovranno risultare dalla Valutazione di Impatto Ambientale), si tratta di cifre enormi che darebbero un contributo vero, tangibile alla decarbonizzazione. Questo argomento, da solo, sarebbe sufficiente per sedersi attorno ad un tavolo tra tutte le parti interessate e trovare le soluzioni e i compromessi più soddisfacenti, incluse le distanze delle pale eoliche dalla riva su cui Energia Wind mi sembra che si sia sempre dichiarata disponibile a trattare. Ciò che è insopportabile è la superficialità e la mancanza di una visione di lungo periodo, con cui questo progetto assai utile da moltissimi punti di vista, è stato trattato. Ogni progetto di questo tipo richiede molti anni per studi sul vento, progettazioni, autorizzazioni, realizzazione. Ripartire da zero vorrebbe dire sprecare altro tempo. Non ce lo possiamo più permettere.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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