Natalini: l'azzardo della Brexit

Editoriali

L'allora primo ministro inglese David Cameron indisse il referendum del giugno 2016 sul mantenimento o meno del Regno Unito all’interno dell’Unione Europea per una ragione politica tutta interna al Partito Conservatore. Nel suo disegno, il referendum, che Cameron ovviamente pensava di vincere con una maggioranza per il “remain”, avrebbe depotenziato definitivamente la frangia euro-scettica del proprio partito che da anni condizionava costantemente dall’interno la sua leadership. Non aveva messo nel conto che il referendum avrebbe fatto dell’UE il capro espiatorio su cui abili demagoghi (su tutti, Nigel Farage) e i tabloid popolari anti-UE, utilizzando a man bassa fake news e una sistematica disinformazione, avrebbero scaricato tutte le frustrazioni, le paure, il malessere di vastissimi strati della popolazione britannica verso la globalizzazione e l’immigrazione.

Dopo oltre 3 anni di caos in Gran Bretagna, l’epilogo definitivo del referendum lo abbiamo avuto con le elezioni del 12 dicembre scorso, quando il Partito Conservatore di Boris Johnson, con oltre il 44% dei voti, ha ottenuto una maggioranza schiacciante alla Camera dei Comuni. Era ciò che aveva chiesto agli elettori per portare avanti rapidamente e senza tentennamenti la BREXIT. Se il Partito Laburista avesse assunto una posizione chiara e netta sulla BREXIT e si fosse alleato collegio per collegio con le altre forze pro-UE forse il risultato sarebbe stato molto diverso. Nel sistema elettorale britannico, infatti, vince tutto chi prende anche un solo voto in più in ciascun collegio. L’azzardo di Boris Johnson (e di tutti coloro che hanno votato la BREXIT) è comunque enorme. Consiglio, al riguardo, la lettura delle 60 pagine del Manifesto dei Conservatori, scaricabile da Internet (“Get Brexit Done. Unleash Britain’s Potential” “Portiamo a termine la BREXIT. Liberiamo il potenziale della Gran Bretagna”). È un Manifesto molto interessante e ambizioso (fare della Gran Bretagna un leader mondiale nelle industrie del futuro quali le scienze della vita, l’energia pulita, lo spazio, il design, la robotica e l’intelligenza artificiale, nella lotta ai cambiamenti climatici, nelle arti creative; investire in nuovi ospedali, scuole, infrastrutture di trasporto, rimboschimenti e parchi nazionali e molto altro), la cui idea portante è: una volta fuori dall’UE, lo possiamo fare meglio e più velocemente, senza il filtro e le barriere delle regole comunitarie. Di più: fuori dall’UE potremo stabilire accordi commerciali più convenienti per la Gran Bretagna. Il Manifesto, tuttavia, tace su un aspetto decisivo, che ne inficia, a mio avviso, alla radice l’intera credibilità: nel mondo contemporaneo, in cui si confrontano e si scontrano gli interessi di Stati-continente quali gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, che spazio può avere la Gran Bretagna da sola? Una Gran Bretagna integrata nell’UE, con cui peraltro ha un interscambio commerciale pari a circa il 50% del suo import/export totale, non sarebbe stata più forte nel mondo ?
Già Churchill, 75 anni fa, nelle varie conferenze internazionali con gli USA e l’URSS per concordare gli assetti dell’Europa e del mondo del post-seconda guerra mondiale aveva progressivamente preso coscienza che le gerarchie mondiali erano cambiate e che l’Impero Britannico, attore globale di prima grandezza per tutto l’Ottocento e fino alla prima guerra mondiale, era ormai al tramonto. D’altra parte, noi europei eravamo il 25% della popolazione mondiale all’inizio del ‘900, oggi siamo il 6%, diventeremo il 4% tra 40 anni, ossia tra due generazioni. Isolati gli uni dagli altri e divisi fisicamente e simbolicamente (dopo il completamento della BREXIT per entrare in Gran Bretagna servirà il passaporto e una pre-registrazione online), non conteremo nulla e saremo etero diretti dagli altri.
In questi ultimi anni viene spesso citato un proverbio africano, che è utile ricordare anche in questa circostanza: da soli si va più veloci, insieme si va più lontano. Può darsi che i Britannici, al di fuori dell’UE, si illudano di andare più veloci nel breve periodo, ma non sono del tutto sicuro che andranno lontano.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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