L'analisi di Affronte: plastica, le dimensioni del problema

La storia dei materiali plastici, iniziata nella seconda metà dell’800, e proseguita con successive scoperte e invenzioni fino agli attuali moderni utilizzi, è emblematica. L’uomo, con la sua capacità di studiare, apprendere, scoprire e inventare, si ingegna per trovare soluzioni essenzialmente per renderci la vita migliore. E molto spesso ci riesce. Altrettanto spesso però, lo fa senza valutare troppo bene, e a priori, quali possano essere, nel lungo periodo, le conseguenze delle proprie azioni. Nello specifico, abbiamo inventato un materiale (la plastica in natura non esiste) eccezionale: leggero, duttile e tremendamente resistente, adatto a mille usi. Abbiamo iniziato a produrne in grandi e sempre crescenti quantità, ma senza mai chiederci, fino ad oggi, dove sarebbe finita tutta questa plastica.

In effetti molto spesso gli oggetti di plastica che utilizziamo ci servono per pochi minuti e per una sola volta (pensate a piatti, bicchieri, cannucce, involucri, contenitori, eccetera). E dopo? Dopo diventano un qualcosa che permane nell’ambiente, anche per centinaia o migliaia di anni. Ovviamente, accumulandosi.
Così i rifiuti plastici crescono continuamente e a dismisura finché, abbastanza recentemente, ci siamo accorti che, effettivamente, sono ovunque. Negli ultimi due anni ne parlano i telegiornali, i quotidiani, insomma i media più popolari. Bene, ma le dimensioni del problema sono gigantesche, e non bastano queste poche righe per descriverlo. Tutti ormai abbiamo presente quello che emerso in uno studio del 2016 e poi ribadito in un documento del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP): entro il 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesce. Come è possibile? Beh, intanto consideriamo che ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di plastica entrano in mare. Mentre noi ci rendiamo conto del problema che abbiamo causato, e pensiamo a possibili soluzioni, il problema stesso cresce in maniera esponenziale. Attualmente produciamo circa 300 milioni di tonnellate di plastica all’anno. E sappiamo già che molta di questa finirà nell’ambiente, mare compreso, dove resterà per centinaia di anni. Le stime dell’UNEP parlano di una produzione che potrebbe arrivare a 600 milioni di tonnellate all’anno nel 2030… Volumi spaventosi, di oggetti praticamente eterni.
E ogni tanto scopriamo qualcosa di nuovo, e davvero per niente piacevole. La plastica si degrada in microplastica, minuscole particelle che vanno da 5 millimetri a frazioni di un millimetro, e che si “infilano” ovunque e che vengono mangiate dagli organismi marini e ora sappiamo che si accumulano lungo la catena alimentare. E arrivano anche ai consumatori più in alto: noi, insomma. Le microplastiche possono essere vettori di patogeni oppure contenere inquinanti (Pcb, Ddt…), e possono rilasciare ftalati, bisfenolo A e altri disruttori endocrini che alterano le funzioni del sistema endocrino e causano problemi all’organismo, o alla sua progenie. E sono ovunque. Dai ghiacci dell’artico al cibo che mangiamo. E’ recente uno studio che le ha trovate in ben 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati, provenienti da diverse nazioni inclusa l’Italia.
Si potrebbe andare avanti per molto, perché le dimensioni di questa problematica sono davvero gigantesche, e in crescita. E le possibili soluzioni, di cui parleremo in un altro articolo, solo abbozzate. Ma la più importante di tutte sta ovviamente nella prevenzione. Cioè usarne molta ma molta di meno. La plastica è un materiale utilissimo e addirittura insostituibile per certi utilizzi. Ma quanta plastica inutile c’è nella vita di ognuno di noi? Quanta ne potremmo evitare di usare, o sostituirla con materiali più amici dell’ambiente?
(*) Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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