La corsa di Trieste e il divieto agli africani

Neppure il teorizzatore per eccellenza del razzismo, Adolf Hitler, alle Olimpiadi di Berlino del 1936 era arrivato a tanto, e anzi finì per essere conquistato da Jesse Owens, nonostante fosse molto più abbronzato di lui, come direbbe oggi qualcuno degli statisti pieni di humour che guidano questo mondo allo sfascio. E invece stavamo per riuscire a fare sembrare il baffino nazista quasi un moderato. Sì, perché fino a poche ore fa era stato annunciato che dal 3 al 5 maggio il Trieste Running Festival, simpatica manifestazione podistica, sarebbe stata arricchita da una gran bella novità: agli atleti africani era stata vietata la partecipazione.

Non era una fake, né uno scherzo di cattivo gusto: questa porcheria stava per capitare nel 2019, in Italia, il belpaese dove quando faccio notare che sta dilagando il virus di un razzismo più o meno strisciante mi sento spesso rispondere che ho le allucinazioni, perché non c’è alcun problema di questo tipo. Poi c’è stata la rivolta sdegnata di diverse persone che ancora hanno un briciolo di coscienza, e allora improvvisamente l’organizzatore ha annunciato il dietrofront: potranno esserci ancora persino gli africani. Però fate attenzione a dichiararvi scandalizzati, perché se provate a citare come esempio di ripugnante razzismo la vergogna che stava per compiersi a Trieste vi diranno che non avete capito. L’organizzatore della manifestazione podistica ha spiegato che la scelta di escludere i corridori africani era stata fatta a loro tutela. Era «una provocazione», che rispondeva a un nobile principio: evitare «il mercimonio» che si è verificato negli ultimi anni, quando campioni africani venivano reclutati per pochi euro da società sportive senza scrupoli, per le quali è stata coniata anche un’espressione inedita: gli «scafisti dello sport». Insomma, non li volevano fare correre per proteggerli dallo sfruttamento.
È un po’ come quando sento dire da tanti difensori della politica dei porti chiusi che la loro è una posizione umanitaria, perché se i profughi li facciamo arrivare qua ci sono poi nostri connazionali che li sfruttano facendo loro raccogliere i pomodori nei campi per 2 euro all’ora. E allora lottiamo contro lo sfruttamento? Macché, eliminiamo gli sfruttabili. In fondo, è la stessa logica di chi, di fronte a una violenza sessuale, non si concentra sulla colpa dello stupratore ma sulla fantomatica responsabilità della vittima: non doveva indossare una gonna così corta!
Tornando alla corsa a Trieste, c’è tanto altro di non detto. Per esempio, l’idea malsana che qualcuno aveva già esibito: bisognerà pur difendere i podisti italici dalla concorrenza di quei negri che vincono sempre. Non se ne può più! D’altronde, è o non è la mezza maratona di Trieste? Cosa c’entrano quei selvaggi dell’altopiano dell’Africa centrale o del Maghreb?
Io sogno di vivere in un Paese in cui un giorno chi ha solo il coraggio di lanciare un’idea come quella sfoderata e poi fortunatamente rinnegata per il Running Festival triestino finisca davanti a un giudice per rispondere del reato di discriminazione, di cui ci sarebbe bisogno come il pane in questi tempi bui. Nell’attesa, spero di consolarmi giovedì 2 maggio con una bella iniziativa ideata dall’Endas: “La grande corsa elettorale” tra i candidati a sindaco cesenati, che si svolgerà alle 17.30 alla pista di atletica leggera accanto all’ippodromo (inizialmente era stata programmata per oggi, ma è stata rinviata perché si prevede pioggia intensa). Quello è lo sport che mi piace: una sana e leale competizione, meglio se multicolore. In questo caso sono colori politici, ma lo stesso vale per le sfumature della pelle, la nazionalità e ogni altra caratteristica che rende unico chi corre. A Trieste, al campo di atletica a Cesena e nella vita.

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