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L’unica novità è stata chiamarli femminicidi, ma sulla prevenzione c’è ancora molto da fare

Editoriali

Persecuzioni, minacce, maltrattamenti, gelosia, manie di controllo, forme di soggezione psicologica ed economica. Il caso di Giulia e Filippo è tornato a far discutere sui segnali preventivi che potevano essere colti, indice di una possibile escalation di violenza. “Atteggiamenti spia” li ha definiti ieri il ministro della giustizia, Carlo Nordio, nel fare riferimento a una serie di comportamenti che dovrebbero confluire in un opuscolo da diffondere nelle scuole, sui social, nei posti di lavoro per realizzare una rivoluzione educativa non più rinviabile. Aspetti purtroppo non nuovi, che si ritrovano in molti dei delitti di genere di oggi e di ieri. Basta scorrere le cronache degli ultimi 15 anni anche nella nostra Romagna. Ivana, Ilenia, Giulia, Sandra sono solo alcune delle donne uccise da chi diceva di amarle. In molti casi, da parte delle vittime o di chi era a loro vicino erano stati denunciati o segnalati i potenziali pericoli. Non è bastato. L’unico vero progresso finora è stato lessicale, con l’impiego del termine femminicidio, indicato per la prima volta in un documento ufficiale dell’Ue nel 2006 e adottato in maniera crescente dai media a partire dal 2011. Un cambiamento rilevante, seppur solo a livello di semantica. Sul fronte della prevenzione invece, c’è purtroppo ancora molto da fare.

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