Il partito che non c'è

Giuliano Ferrara, sul Foglio, scrive di una assemblea di miliardari americani dove si discute di socialismo. Dicono cose di questo tipo: “la storia insegna che o c’è una legislazione che distribuisce la ricchezza o c’è una rivoluzione che distribuisce la proprietà”.
E qualcuno ha aggiunto: “pagherei un 5% in più di tasse per avere un mondo meno minaccioso”. Che succede? In questi circoli esclusivi, in America e in Europa, una trentina di anni fa si discuteva della “fine della storia”. E si pensava che anche il socialismo democratico, il socialismo del Welfare, fosse ormai finito, inutile. Troppo costoso. Quindi che succede?

Per avere un “mondo meno minaccioso”, c’è bisogno di un nuovo socialismo (democratico)? Capace di costruire un nuovo welfare? È la risposta ai populismi? C’è del vero, ma non è tutto vero, credo. Certamente è necessario aggiornare il welfare, perché in un mondo tumultuoso c’è la necessità di soccorrere chi rimane indietro e sostenere chi può correre in avanti. Altrimenti vince il populismo che è: ingannare chi non si sente soccorso o sostenuto. Ma non basta! Perché siamo di fronte ad un cambio di paradigma. Abbiamo visto cambiamenti epocali ad una velocità inimmaginabile ed abbiamo ancora visto poco. 5G, intelligenza artificiale, tutto cambierà ancora. Nel vecchio mondo tutto era più chiaro e lineare. Ma da almeno 10/15 anni siamo sul Tagadà! La grande crisi, le grandi trasformazioni, i nuovi equilibri geopolitici, le nuove tecnologie. E la via d’uscita dal Tagadà non è più la stessa di sempre. Non sta sull’asse sinistra- destra.
Il professor Guido Tabellini, in un bel saggio, dice che quando in passato i lavoratori erano in difficoltà si rivolgevano alla Sinistra. Oggi gli strati più deboli si rivolgono ai nazionalisti e ai populisti. Di destra e di sinistra. È un fenomeno globale. In Italia è più grave perché noi, da Tangentopoli, abbiamo saputo farci anche molto male da soli. Tabellini, lucidamente, dice che: “è cambiata radicalmente la natura del conflitto economico e sociale”. Questo è il punto. Il conflitto non è più fra lavoro e capitale. Il “mondo tumultuoso” è figlio di un conflitto tutto nuovo, “fra chi guadagna e chi perde dalla globalizzazione e dal progresso tecnico”, aggiunge Tabellini. Sono conflitti trasversali alla tradizionale divisione destra-sinistra, lavoro-capitale, dipendenti-autonomi. Ancora Tabellini, “i perdenti sono individui meno istruiti, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, professionisti ai margini della globalizzazione, delle zone meno dinamiche del Paese”. Vince chi è più vicino alle zone più all’avanguardia e produttive e ai centri urbani e può cogliere le nuove opportunità.
L’Italia ha il tasso più alto di populismo dell’Occidente perché ha saputo meno cogliere(questione immigrazione a parte) i vantaggi del progresso tecnologico e della globalizzazione. Perché è allergica alle riforme, ai cambiamenti reali. Dal lavoro alla scuola. Perché uccide tutti i suoi leaders riformisti. Senza i vantaggi, gli svantaggi, che pure ci sono, pesano di più. Tutto questo incide pesantemente sulla rappresentanza politica, sulla scelta di voto. A cambiamenti trasversali, corrispondono consensi e dissensi trasversali. I partiti populisti organizzano il dissenso, chi costruisce il consenso trasversale a favore di una politica capace di governare meglio e cogliere i vantaggi di globalizzazione e progresso tecnologico? In Francia è nato Macron, in Spagna un nuovo Socialismo e i Ciudadanos, in Germania è esploso il fenomeno dei Verdi. In Italia? Questo partito non c’è.
Il Pd? Meglio che niente, ma pensa l’esatto contrario di quello che bisognerebbe fare. Si ricolloca nell’asse Sinistra contro Destra. E si autoflagella per i suoi governi delle riforme. C’è il lodevole tentativo di +Europa, un po’ poco. Ma meglio che niente. E Forza Italia sta con i populisti! Quasi niente!
(*) già Parlamentare

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