I media come arma da guerra

Più di cinquant’anni fa Marshall McLuhan, il profeta del villaggio globale, teorico della comunicazione affermava: “Senza comunicazione non ci sarebbe il terrorismo”. Quando McLuhan esprimeva questi pensieri, Internet non esisteva ancora e nemmeno le grandi reti come la CNN.
Il network globale di informazione era in una fase embrionale rispetto ad oggi, eppure era già chiara la forza della voce e del silenzio dei media e la sua logica nella sfera pubblica, nel racconto della realtà quotidiana, soprattutto dei fenomeni violenti e criminali.
La maggior parte del mondo accademico, e non solo, ri-conosce il sociologo canadese per la famosa espressione “il mezzo è il messaggio”. I media elettronici e digitali hanno fortemente modificato la nostra cultura, favorendo il ritorno dell’oralità e influenzando tempo, spazio e contenuti dei processi comunicativi e relazionali.

Questi cambiamenti sono ormai visibili in tutti gli aspetti della vita umana come la scuola, il lavoro, la salute, l’economia, ma anche nelle dinamiche dei conflitti… e nella guerra ancora in corso.
Il mezzo tecnologico definisce l’arena del conflitto, guida l’ordine delle comunicazioni pubbliche, la dinamica dell’attacco e l’intensità dei suoi effetti, facilitando o irrigidendo i negoziati verso la pace.
In questo senso, riprendendo McLuhan e aggiornando la sua famosa espressione, non solo ancora oggi “the medium is the message”, ma potremmo senza dubbio dire che attualmente “The Medium is The War”.
La crisi tra Russia e Ucraina sta mostrando in tutta la sua forza uno dei principi fondamentali dei nuovi cyber-conflitti: il terreno dove lo scontro si vince in anticipo, quello della Rete.
Le campagne disinformative e le ondate di fake-news studiate a tavolino riescono a creare pretesti per generare la scintilla di una guerra ma anche per influenzare e direzionare il sentiment dell’opinione pubblica.

Il punto finora rilevante è racchiuso in due parole che ben descrivono la complessità della situazione appena descritta: misinformation e disinformation.
Riprendendo le parole dello scrittore Toba Beta, “la misinformazione è un inganno. La disinformazione è un imbroglio”.
Queste due dimensioni prendono corpo in particolar modo all’interno piattaforme sociali e digitali, capaci ora di profilare i loro utenti, raccogliere informazioni, di carattere personale, dominare gli ambienti politici e internazionali, orientare le strategie militari, incidendo sull’inizio e la fine di un conflitto.

Anche la comunicazione pubblica dei due presidenti protagonisti del conflitto si fa “cyber” e domina le piattaforme online. Ogni messaggio rivolto al proprio popolo o al proprio avversario viene costruito seguendo le logiche dei social media: velocità, trans-medialità e trasparenza. Contenuti chiari, diretti, esposti con tono deciso e autorevole. La stessa attività diplomatica, la forma più complessa di dialogo istituzionale in situazioni di crisi, trova posta questa volta nell’ambiente digitale, precisamente su Instagram, e si rivolge ad un pubblico misto, cittadini e leader di tutto il mondo.
Le tecnologie dell’informazione sono dunque strettamente legate a quelle belliche, si sviluppano in maniera parallela, forniscono nuovi modi di vedere il conflitto che diviene via via una esperienza sempre meno raccontabile e sempre più ermetica.

La cosa però abbastanza inedita all’interno di questa pseudo-guerra, “fredda e ibrida”, sono i cyberattacchi proveniente da “soggetti terzi”, attori cioè che partecipano attivamente allo scontro, senza una chiara identità, muovendosi strategicamente nel retroscena bellico e facendo dell’algoritmo un medium in grado di ferire importanti assetti istituzionali.
È il caso di Anonymous che poche settimane fa ha dichiarato pubblicamente guerra al governo di Vladimir Putin schierandosi a favore del popolo ucraino, rivendicando la responsabilità di aver rimosso i principali siti web istituzionali.

La dimensione “cyber” è dunque centrale in questo conflitto e ha già svolto un ruolo importante nella disputa tra Russia e Ucraina nelle ultime settimane, che ora si è via via trasformata in un conflitto armato, passando in maniera quasi definitiva dallo spazio online a quello urbano.

Giacomo Buoncompagni /docente di Potere, informazione e intelligence Unibo

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