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Cesena-Fermana e la giustizia sportiva che soffre di vecchiaia

Editoriali

Alla fine di Cesena-Olbia, c’è stata l’invasione di campo di una persona riconosciuta e sanzionata. L’invasore ha ammesso le sue responsabilità, non ci sono stati dubbi sulla sua identificazione, zero dubbi sul fatto che nessun altro spettatore abbia partecipato all’invasione. Per Cesena-Olbia il dato ufficiale parla di 8.345 spettatori (1.810 paganti e 6.535 abbonati): Liman Shpendi a parte, nessuno c’entra qualcosa con quello che è successo. Quando la tecnologia e i filmati fanno chiarezza, le porte chiuse non hanno più senso.

Scansiamo la frase più triste del mondo che si ripete in questi casi («si è sempre fatto così») e proviamo a intravedere un’alternativa. Si deve punire la società per responsabilità oggettiva? Una multa impattante sarebbe più che sufficiente, togliendo la somma che si sarebbe incassata. Per Cesena-Olbia, il Cesena ha avuto al botteghino 14.240 euro come quota spettatori paganti, cifra che sale a 51.145,07 euro se si aggiunge la quota abbonati. Il Cesena con le porte chiuse ha perso incasso e pubblico: non bastava fargli perdere solo l’incasso? In questo modo resta la punizione al club (la società paga per non avere evitato una invasione di campo), ma non c’è la punizione al tifoso che si è comportato bene e avrebbe diritto di andare alla partita, a maggior ragione se è abbonato e aveva pure pagato prima.

È antistorico penalizzare lo spettacolo: il calcio italiano non se lo può più permettere, anche perché è già abbastanza triste per conto suo. Di fronte alle gradinate vuote di certi stadi da C, spunta una malinconia che non finisce più. Andava tutelata la gioia di andare allo stadio, mentre Cesena-Fermana si è consegnata alla storia come quella partita in cui ne punirono diecimila per educarne uno.

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