Affronte. Clima: il conto è troppo alto

Editoriali

Nel celebre libro “Rapporto sui limiti allo sviluppo”, commissionato nel 1972 dal Club di Roma al Massachusetts Institute of Technology c’era, fra le altre interessantissime cose, anche un piccolo grafico, quasi uno schizzo. Il grafico si chiamava “Le prospettive umane” e rappresentava con dei punti il modo in cui noi umani percepiamo i problemi.

Nella didascalia si spiegava che “Nel mondo, la maggior parte delle persone si occupa di questioni che riguardano solo la famiglia o gli amici e per un breve periodo di tempo. Altri guardano più avanti nel tempo o su un’area più ampia: una città o una nazione. Solo poche persone hanno una prospettiva globale che si estende lontano nel futuro.” Insomma, noi sentiamo come problemi da affrontare solo quelli che ci colpiscono da vicino, nel tempo (qui o qui vicino) e nello spazio (adesso o fra poco). I problemi di enorme portata come i cambiamenti climatici, che agiscono a livello globale e le cui conseguenze coprono periodi di decenni, noi possiamo comprenderli, ma moltissimi di noi non riescono ad agire per contrastarli, perché non percepiscono l’urgenza. In effetti, da qualche anno, il problema è molto più sentito, ma questo perché le conseguenze del riscaldamento globale ci stanno già colpendo qua e ora (eventi estremi, siccità, ondate di calore, alluvioni, eccetera). Eppure gli scenari futuri sono molto peggiori, purtroppo, e le azioni per contrastarli ancora non adeguate.
Speriamo che chi si prodiga per descrivere questi scenari venga ascoltato. Ad esempio, pochi giorni fa il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha presentato il rapporto “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia”. Il lavoro prende in considerazione le conseguenze di due “scelte”: cosa succederà in Italia, da qui a fine secolo, se non facciamo nulla, e cosa succederà se invece introduciamo azioni concrete ed efficaci.
Va detto che, essendo ormai in estremo ritardo, anche nell’ipotesi migliore le conseguenze non saranno lievi, perché la situazione è già molto compromessa: la temperatura in Italia è già aumentata di circa 1,5 gradi. Se stiamo sotto i 2 gradi di aumento, i danni per esempio economici saranno seri, ma ancora contenuti. Se l’aumento andasse sopra ai 2 gradi, fino anche a 5 gradi, sarà un bagno di sangue. Le alluvioni ci costeranno fino a 15,3 miliardi all’anno, l’innalzamento dei mari fino a 5,7 miliardi, la perdita di valore dei terreni agricoli potrebbe arrivare a cifre comprese tra gli 80 e i 160 miliardi di euro, la contrazione della domanda nel turismo ci costerebbe 52 miliardi.
Gli incendi boschivi già adesso ci costano, in Europa, 3 miliardi di euro all’anno. In Italia potrebbero aumentare del 20% rispetto a ora, mentre la stagione degli incendi si allungherebbe di 20-40 giorni. L’acqua diventerà una risorsa scarsa e che creerà competizione. La portata dei fiumi calerà, nello scenario peggiore, del 40 – 55% e, soprattutto in estate, i settori più dipendenti dall’acqua - turismo, industria, produzione di energia e agricoltura – competeranno fra di loro per accaparrarsi ogni preziosa goccia.
Nel sito del CMCC si possono scaricare il report completo, i riassunti e anche delle belle infografiche. Ma, tornando alla premessa, a che servirà? Che animi smuoveranno? Spingeranno qualcuno a fare qualcosa? O a non opporsi a chi vuole fare?
Sì, perché c’è anche un’altra tendenza molto radicata in noi umani. La sindrome NIMBY (Not In My Back Yard), che significa, “Non nel mio giardino”. Molte volte i buoni propositi e i buoni intenti si scontrano con questa sindrome. Tutti siamo d’accordo nel dire che ognuno deve fare la propria parte e ognuno deve affrontare dei sacrifici, che servono progetti che spingano velocemente ad abbandonare le fossili e passare solo a energie rinnovabili; ma basta che queste cose non si facciano a casa mia. E se a qualcuno fischiano le orecchie, beh non so che farci.

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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