Affetti collaterali: la pausa di riflessione

Editoriali

Stiamo insieme da quasi 4 anni, con gli alti e bassi di tutte le coppie, ma innamorati e felici, almeno così credevo. Invece lui, come un fulmine a ciel sereno, mi ha chiesto una pausa di riflessione. Ovviamente sto cercando di andargli incontro, di accontentarlo, ma servirà a qualcosa? Su cosa deve riflettere? Glielo chiedo ma non mi risponde.
Alessia

Cara amica, io non la vedo benissimo. Sa come si dice, che le pause di riflessione hanno sempre un nome e un cognome… ma scacciamo questo malevolo pensiero (che tuttavia ha qualche base statistica) e corriamo verso la pausa in questione con l’entusiasmo di un cucciolo di labrador, o almeno tentiamo. Innanzitutto Lei non racconta se convivete: se la risposta è sì, magari si tratta di implosione da lockdown, e lui si sente annaspare dopo mesi passati insieme 24 ore al giorno in modalità cozza/scoglio. In ogni caso, se c’è una cosa da non fare con chi ci chiede una pausa di riflessione, quella è assillare, investigare, pressare. Che il partner sia davvero confuso e attraversi un momento in cui non sa nemmeno fare la O col bicchiere, o sia già con un piede e più di un pensiero fuori casa, di certo non è aggrappandosi alla manica del suo pullover come la Duse alle tende che lo si convincerà a restare. È difficilissimo, lo so, perché si vorrebbe essere rassicurate e si vorrebbe mantenere il controllo su quello che sta accadendo, ma occorre evitare di subissarlo di messaggi, controllare compulsivamente i suoi social, pretendere risposte se lui non può o non vuole darne. Certo sarebbe bello capire se lui (succede) ha questa insopprimibile voglia di mettere in stand by la relazione perché vuole fare un tentativo con qualcun altra, ma questo particolare -non trascurabile- quasi nessuno ha il coraggio di enunciarlo. E a proposito di coraggio spesso la pausa viene usata per concludere una relazione perché non si riesce ad affrontare la rottura, e si lascia l’altra persona appesa, nel limbo, sperando che il tutto si esaurisca per inedia, senza traumi. È una strategia che non funziona quasi mai, perché giustamente dopo un po’ l’interlocutore si presenta a casa del partner, metaforicamente o in senso letterale, con le mani sui fianchi o un randello nodoso chiedendo E QUINDI? Cerchi di non arrivare a questo punto, faccia circolare un po’ di aria in questo rapporto, ci sia per lui come ci sarebbe per un’amica, poi però tra una settimana o un mese sedetevi e parlate. Giustamente lei ha chiesto su cosa si debba riflettere, e non mi sembra una domanda peregrina. Se pure dopo un mese di pausa il suo fidanzato non lo sa, non lo ha capito o non lo vuole esplicitare io direi di sforbiciare. Sarà doloroso, ma -mi creda- meno di un cincischiamento senza fine in attesa di una qualche sentenza, mentre l’autostima rotola a valle e l’ansia cresce.

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