Con la riunione della direzione di questa mattina, a Bologna, Legacoop Emilia-Romagna avvia il percorso che porterà alla Biennale della Cooperazione di Milano del 2026, in cui saranno celebrati i 140 anni del movimento cooperativo, e al congresso regionale del marzo 2027. Legacoop Emilia-Romagna associa circa 1.000 cooperative che hanno realizzato, nel 2024, un valore della produzione di 31,7 miliardi di euro, con 150.000 dipendenti e oltre 2,7 milioni di soci, di cui 140 mila sono soci lavoratori. Il valore della produzione sale a 56 miliardi di euro, pari al 17,9% dell’economia regionale, considerando le imprese controllate da cooperative. Con Daniele Montroni, presidente di Legacoop Emilia-Romagna, abbiamo fatto il punto sulle sfide e le proposte della cooperazione per il territorio.
Legacoop Emilia-Romagna: un colosso da 56 miliardi verso la Biennale 2026
In un’epoca in cui anche l’economia, come tutto il resto, è in continuo cambiamento che ruolo gioca e che significato ha il modello cooperativo?
«Il modello cooperativo tiene insieme impresa ed equità sociale. Non è una definizione astratta: lo ha ricordato anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 116 del 2025, parlando di “forma avanzata di impresa” fondata su mutualità, democraticità e radicamento nei territori.
In Emilia-Romagna questo si traduce in un sistema che coinvolge circa 140 mila soci e oltre 150 mila lavoratori, e che continua a generare ricchezza che rimane nelle comunità. In un contesto in cui le disuguaglianze crescono - basti pensare all’8,8% di persone che nel 2024 ha rinunciato alle cure per motivi economici - il ruolo della cooperazione è più che mai attuale».
Le guerre e le tensioni internazionali che impatto hanno sull’economia regionale?
«Sì, e non solo per il caro energia. Le guerre rallentano forniture e investimenti, aumentano i costi delle materie prime e amplificano un clima di incertezza. A questo si aggiungono i dazi imposti dagli Stati Uniti, che colpiscono direttamente settori strategici per l’Emilia-Romagna: agroalimentare, farmaceutica, meccanica e automotive. Per un territorio fortemente esportatore, l’impatto è significativo. Servono politiche europee e nazionali che tengano insieme sostenibilità ambientale, economica e sociale».
Sempre più giovani hanno difficoltà a trovare lavoro. Il classico “posto fisso” è sempre più sostituito da occupazioni precarie. Che ruolo può giocare il modello cooperativo?
«Rispondo con un dato chiaro: oltre l’80% dei contratti nelle cooperative è a tempo indeterminato. È un segnale forte in un mercato del lavoro sempre più frammentato. Ma non c’è solo la stabilità. Le cooperative garantiscono partecipazione, formazione continua e una governance che valorizza le persone e attenzione alla sostenibilità. Oggi i giovani chiedono senso, impatto, coerenza: elementi che il modello cooperativo, per sua natura, può offrire».
Come si pone la cooperazione davanti alle sfide delle transizioni digitale, demografica e ambientale?
«Sul digitale stiamo investendo in competenze e accompagnamento all’uso consapevole dell’intelligenza artificiale. Sul piano demografico, il fabbisogno di manodopera stimato tra oggi e il 2029 è tra 275 e 312 mila lavoratori, di cui almeno 65 mila stranieri: la cooperazione è già in prima linea nei servizi alla persona e nel welfare, ma servono politiche migratorie nazionali più efficaci.
Sull’ambiente il contributo è concreto: comunità energetiche cooperative, filiere green, economia circolare. È un campo in cui le cooperative possono essere protagoniste dello sviluppo sostenibile».
Il tema infrastrutture è sempre caldo, quali sono le priorità per l’Emilia-Romagna?
«È noto a tutti che il sistema logistico è determinante per la competitività del territorio. Porto di Ravenna, interporti di Bologna e Parma, nodi ferroviari: senza potenziamento rischiamo un costo economico enorme. Una nostra ricerca stima un “dazio” di oltre 1,3 miliardi l’anno per rallentamenti e inefficienze, 500 milioni solo sul nodo di Bologna. In questo quadro, il Passante di Mezzo non è più rinviabile: va realizzato, anche nella versione ridimensionata... che non è il progetto che auspicavamo. Detto ciò, invito a non dimenticare la sempre maggiore rilevanza delle infrastrutture immateriali: reti, competenze, persone....»
Quale integrazione è possibile tra gli aeroporti della Romagna (Rimini e Forlì) e gli altri scali regionali, Bologna in primis?
«Partirei da un dato: l’aeroporto di Bologna è e resterà il baricentro del sistema, con un traffico sempre più intenso che però oggi mostra anche limiti infrastrutturali evidenti. Per questo è necessario ragionare in una ottica di sistema, valorizzando il contributo che possono dare tutti gli scali regionali - Bologna, Parma, Forlì e Rimini. Rimini sta vivendo una fase di rilancio importante. Nei primi sette mesi del 2025 ha raggiunto 304 mila passeggeri, con un incremento del 32,5% rispetto allo stesso periodo del 2024: numeri che dimostrano che la strategia impostata negli ultimi anni funziona. Forlì, al contrario, ha una storia e una struttura economica diversa alle spalle: nei primi sette mesi del 2025 ha registrato 65 mila passeggeri, con una flessione dell’8,6%. Ma Forlì ha oggi una carta in più: il progetto di conversione parziale in hub per le merci. È una scelta coerente con la vocazione industriale del territorio e con la necessità regionale di rafforzare la logistica. Il cargo non è un ripiego: è un’opportunità strategica da sostenere con investimenti adeguati. L’integrazione non significa omologazione, ma valorizzazione delle identità».
Eolico e fotovoltaico possono coesistere con il paesaggio e offrire un’alternativa sostenibile senza danneggiare il territorio?
«Dobbiamo farli convivere, se vogliamo raggiungere l’obiettivo del 100% rinnovabili entro il 2035. Oggi in Emilia-Romagna il mix è composto per il 77% da fotovoltaico, 13% biomasse, 9% idroelettrico e solo 1% eolico. La coesistenza è possibile se teniamo insieme sostenibilità ambientale, sociale ed economica, coinvolgendo le comunità locali. Sono convinto che si tratti di un terreno ideale per le cooperative, la forma più adatta a tenere insieme le esigenze delle imprese e quelle delle comunità».
Sul fronte delle comunità energetiche cosa sta facendo il sistema cooperativo?
«Abbiamo già 11 CER cooperative costituite: dal Bolognese alla Romagna, passando per Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Alcune, come Castello Green House, sono state selezionate anche in ambito europeo. Le comunità energetiche riducono i costi, generano energia pulita e rafforzano il legame sociale nei territori. Sono uno strumento intrinsecamente cooperativo»!
Emergenza casa: che risposta può dare la cooperazione?
«Il problema è enorme: negli ultimi anni gli affitti nei capoluoghi sono aumentati anche del 40%, arrivando a pesare fino al 45% del reddito familiare. La cooperazione di abitanti ha costruito, storicamente, oltre 10 mila alloggi tra proprietà divisa e indivisa. Ora servono nuove soluzioni. Abbiamo presentato a Governo e Regione una proposta per rilanciare l’edilizia residenziale sociale e stiamo costituendo un Consorzio regionale delle cooperative di abitanti».
In cosa consiste il Patto per il lavoro e il clima che si sta discutendo in Regione?
«Il Patto, che diventerà Patto per l’Emilia-Romagna, è stato lo strumento che ha permesso alla regione di reggere l’urto delle crisi recenti. Oggi va aggiornato: sviluppo sostenibile, qualità del lavoro, innovazione, salute, demografia. La cooperazione porterà il suo contributo, come sempre: essere impresa significa assumersi responsabilità verso le persone e verso i territori. A fronte dell’impegno della Regione, registriamo limiti nell’azione del governo: i benefici del Pnrr sono al termine e la manovra di bilancio impegna risorse limitate per lo sviluppo, consegnando il Paese a una prospettiva di stagnazione economica».