Ecco come il coronavirus ha cambiato l'emergenza in Romagna

Cesena

CESENA. Si è passati da una fase in cui c’era il terrore di aver contratto il virus ad una in cui c’è il terrore… di essere scoperti “col” virus addosso e finire in quarantena. Ci sono stati momenti di panico assoluto tra la popolazione in cui l’unica possibilità (in assenza di medici di base che rispondessero o di numeri verdi che ancora non esistevano) l’unica soluzione fruibile ai cittadini era chiamare il 118 per avere qualcuno con cui raffrontarsi.
Ieri a Cesena i contagi nuovi sono stati zero, così come i decessi ed i guariti. Una giornata “senza Covid-19” che in provincia è stata segnata da 3 positività a Predappio. Sembrano lontanissimi nel tempo i momenti in cui la pandemia impazzava anche qui. Aspettando di capire se ci sarà un ritorno di fiamma del virus autunnale, sono stati in questi giorni esaminati nei dettagli i numeri del 118 di Area Vasta Romagna, per capire come il coronavirus abbia inciso sulle vite di tutti.
In passato
Il sistema di soccorso delle ambulanze fa leva su parametri che partono dalla chiamata iniziale al 118 per passare dai tempi di intervista al telefono della centrale operativa, quelli dell’ambulanza di partire e arrivare, per trasferire infine i paziente in ospedale se necessario.
Per i codici gialli e rossi (i pazienti potenzialmente più gravi) i tempi di intervento oscillano tra i 18 ed i 21 minuti. Cosa avvenuta sia prima che dopo il 4 giugno 2019 quando nella centrale operativa di Ravenna è stato aggiunto un operatore telefonico ulteriore per turno per migliorare la qualità di risposta.
Nel 2019 la centrale 118 locale ha gestito 123 mila interventi il 24% dei quali erano di codici rossi ed un tempo di gestione solo telefonica attorno ai 103 secondi di media.
Il 28% dei casi sono stati sovrastimati nella loro gravità dagli operatori al telefono con l’utenza. Rispetto a quello che poi le ambulanze hanno trovato sul posto di intervento. Le sottostime sono state 366: appena il 5,82% su scala romagnola (che scende in alcuni territori come Forlì- Cesena al 4.79%).
In generale i tempi di soccorso si attestano tra i 16 ed i 21 minuti complessivi. I codici rossi ruotano nei 18 minuti di media. Insomma: un 2019 che è stato ampiamente tutto entro i range della normalità.
Il 2020 e la pandemia
Poi è arrivato il 2020. Ed il sistema pare aver retto anche se il servizio 118 ha dovuto modificarsi e mutare in funzione della pandemia. Sia per chi rispondeva al telefono sia per chi saliva in ambulanza.
Fino al 21 febbraio i dati restano in linea col 2019. Poi la situazione diventa anomala. La zona peggiore (Rimini) nel dettaglio ha avuto il primo caso sospetto la notte del 22 febbraio con la chiamata di una donna cinese che era appena rientrata dalla zona di Milano. Il primo caso ufficiale è stato certificato da tampone il 24 febbraio. Dal 25 gli ospedali hanno iniziato ad attrezzarsi per l’onda d’urto in arrivo.
La paura corre al telefono
Aumentano le chiamate al 118: in una prima fase dal 25 febbraio, poi dall’8-9 marzo. I romagnoli hanno paura, telefonano “alle ambulanze” anche solo per provare a capire come comportarsi. Dal 10 marzo l’emergenza-urgenza entrerà in una fase mai esplorata che durerà fino a maggio. La centrale operativa del 118 Romagna riceverà ad esempio solo il 9 marzo 1337 chiamate con richieste di soccorso. Poco più di un migliaio quelle derivanti da altri numeri (come il 115 ed i 112). Il picco massimo prima che entrino tardivamente in funzione strumenti telefonici come i 1500.
Marzo avrà una fase iniziale per il 118 da più di mille chiamate al giorno che calerà fino a fine mese a circa 500 richieste di intervento. La media di persone effettivamente finite negli ospedali resterà attorno alle poco più di 200 al giorno. Con la centrale 118 che dovrà capire sempre più rapidamente chi far vedere dai colleghi d’ambulanza e chi dirottare a medici di base e servizi di igiene pubblica. Allo scopo di far arrivare nei nosocomi solo chi effettivamente necessita di ospedalizzazione, per dare modo di riorganizzare il servizio ospedaliero e non farlo collassare: in poco tempo l’ottimizzazione di circa 600 verifiche d’ambulanza portava in ospedale circa 50 persone al giorno.
In generale, nel 2019 il 13% delle chiamate al 118 per patologie respiratorie non arrivavano poi ad una ospedalizzazione in ambulanza. Media salita al 30% nel 2020 durante i meticolosi controlli Covid.
È stata realizzata una analisi numerica su 647 pazienti che hanno avuto contatti col 118 in quel periodo rovente di marzo. Il 24,73% pur restando a casa sul momento, è finito in ospedale nel giro di una settimana dai primi sintomi.
Il 35% dei pazienti “forse infettivi” arrivava in ospedale ma dopo una lastra tornava a casa. Sono stati 7 tra questi del campione studiato i pazienti presi in carico e morti dopo l’ospedalizzazione. L’età media di questi era di 85,8 anni. Mentre tra gli under 65 i ricoveri sono stati molto pochi.
Malattie “scomparse”
Mentre la sanità affrontava l’universo coronavirus, le altre malattie (a marzo ed aprile) parevano scomparse. Il clou è stato attorno al 20 marzo, quando il 40% dei codici rossi arrivati e gestiti dal 118 era tutto per patologie “infettive” presunte Covid. Traumi azzerati o quasi dal lockdown. Infarti “quasi inesistenti” nelle chiamate di soccorso, perché andare in ospedale spaventa causa Covid- 19 ed i sintomi cardiaci vengono sottovalutati dalle persone. Le chiamate per ictus arrivate a Cesena e Rimini (ospedali di riferimento stroke) sono il 15% meno della media anche se i pazienti curati dai reparti per ictus restano i medesimi del 2019.
Nel periodo massimo di “io resto a casa” che va dall’8 marzo al 3 maggio 2020 sono calati del 45% i traumi sul territorio romagnolo. Nei dettagli i codici 3 traumatici (gravissimi) nel 2019 erano stati 154, nello stesso periodo del 2020 soltanto 54.
Dal 4 maggio poi tutto è tornato come prima. Anzi: stare tanto tempo senza guidare sembra aver peggiorato le capacità al volante della popolazione.
Tempo di reazione
In tutto questo i tempi di risposta delle ambulanze per i codici gravi sono oscillati come sempre tra i 16 ed i 20 minuti, cioè nell’ampio limite dell’accettabilità. E nei momenti clou del virus, le interviste telefoniche più lunghe e le necessità di sanificazione minuziose delle ambulanze e degli operatori non hanno superato (nemmeno tra l’8 ed il 28 marzo) i 23 minuti di media intervento, là dove (Rimini soprattutto) la pandemia era peggiore che nel resto della Romagna. Se si considera che una pandemia simile non si era mai vista coi sistemi moderni di gestione dell’emergenza, è un risultato tempistico soddisfacente.
Presente e futuro
Il presente a Cesena e in Romagna è contrassegnato da una popolazione che ha voglia di ripartire e molta poca voglia di restare reclusa. L’analisi attuale delle chiamate al 118 dice che se fino a maggio gli utenti telefonavamo spaventati perché non sapevano come gestirsi avendo “forse contratto il coronavirus” ora la popolazione chiama di meno i numeri di emergenza per questo motivo, e se lo fa tende a nascondere sintomi ricollegabili al Covid-19. Tutto questo, oltre a creare confusione in operatori di ambulanza ed ospedali, può anche essere pericoloso per se stessi e per gli altri. Oltreché un comportamento minaccioso in vista di un ritorno epidemico autunnale che tutti sperano non ci sia.
Se al momento le strutture sanitarie appaiono preparate anche a questa eventualità, sono due gli ambiti che questi numeri del 118 consigliano di esaminare da vicino aspettando il futuro.
Il primo è porre rimedio allo scollamento assoluto che c’è stato tra il servizio d’emergenza e quello dei medici di base. Situazione alla quale non c’è stato modo di porre rimedio durante la pandemia, quasi fossero queste due entità che nemmeno fanno parte della stessa sanità.
L’altro riguarda ancora più da vicino l’utenza, sulla cui psiche il coronavirus e le sue ristrettezze non è chiaro ancora quali effetti avranno in futuro.

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