"Dux pink" in scena per il festival "Lucy" al Testori di Forlì

Ultimo giorno, oggi per il festival “Lucy” che Sblocco 5 ha tenuto in questo inizio di dicembre fra Forlì e Bologna. «Ne abbiamo avuto grandi soddisfazioni – commenta la regista e drammaturga Ivonne Capece –. A parte i numeri soddisfacenti, con il tutto esaurito al teatro Testori di Forlì del 2 dicembre con “Frankenstein”, abbiamo riscontrato un coinvolgimento emotivo anche da spettatori non abituati alla ricerca e alla sperimentazione, incuriositi però dalla componente tecnologica degli spettacoli».

Il 4 dicembre vi siete spostati a Bologna.

«Sì, e specialmente la performance seguita al talk di Matteo Casari ha suscitato emozioni e anche polemica, per l’idea che la creatività del corpo umano possa essere elaborata sul piano meccanico, con la coreografia generata da un algoritmo e realizzata da un robot. Ma del resto il rapporto fra uomo e tecnologia pone domande, e fa emergere turbamenti e addirittura paure rispetto al futuro».

Siamo quindi alla conclusione di questo “numero 0”.

«Lo facciamo toccando momenti rilevanti della storia italiana con le due serate “Century n.1 e n .2. Politically Connected”: la sera del 7 con “Libia” abbiamo raccontato la questione del rapporto fra confini e fra popoli. Questa sera invece, sempre al teatro Testori di Forlì, il sipario si alza alle 20.30 sul nostro “Dux pink”, una immersione nella storia del fascismo attraverso la voce di Margherita Sarfatti, Clara Petacci, Edda Mussolini e Rachele Guidi, un monologo che ho ideato e che interpreto traendo quasi tutti i materiali da lettere, documenti, interviste… delle quattro donne».

Non si tratta però di un’opera storica.

«E nemmeno didascalica: le parole delle protagoniste raccontano come loro stesse vissero l’ascesa e l’affermazione di Mussolini e del fascismo, il declino e la caduta ma anche il “dopo”, cioè il risveglio di un’Italia che non voleva riconoscere di essere stata fascista e che ricorse anche alla costruzione di una mitologia antifascista e democratica per convincersene».

Le diverse voci rappresentano quindi fasi diverse di quella storia.

«Le donne in scena sono simboli della coscienza italiana, e ognuna rappresenta un modo di vivere il rapporto con il regime e con chi lo guidava. Margherita Sarfatti, per esempio, vive il fascismo ai primordi, e con le parole del suo libro “My fault” ripensa la storia del regime rispetto a se stessa, e anche le sue responsabilità visto che è una potente costruttrice del mito di Mussolini sia dal punto di vista economico che ideologico. Fu infatti l’autrice di quel best seller “Dux” da cui nacque l’appellativo di Mussolini».

E le altre?

«Di Clara emerge un altro profilo rispetto a quello dell’amante ingenuotta, è una donna decisa che condiziona molte scelte dell’amante nel periodo della Repubblica Sociale, a vantaggio del clan Petacci. Edda è affascinante: è la figlia legata al padre da un rapporto di amore e dedizione, ma anche quella che gli si ribella procurandosi ferite che ci metteranno anni a guarire».

Rachele è la moglie fedele.

«Ed è anche l’incarnazione dell’Italia post bellica. Attraversa il fascismo in sordina, gli sopravvive e nel dopoguerra diventa il simbolo della gente comune che dopo la tempesta si ritrova sola, a cercare di ricostruire qualcosa. Solo per lei non uso le sue parole ma quelle di grandi autori che riflettono su come la fine del fascismo e l’inizio della democrazia in Italia siano qualcosa di non completamente chiarito e risolto: forse un motivo di fragilità che il nostro paese vive ancora oggi».

Biglietto: 15-10 euro
Info: 351 7344915

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