Dopo la Grande guerra inizia il declino della Piattaforma

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Dopo la grande guerra inizia il lento e inesorabile declino della Piattaforma. Nel 1919 la Società Anonima Bagni di Rimini – responsabile della conduzione dello Stabilimento balneare e di tutte le attività ad esso collegate – non volendo impegnarsi in spese ritenute “superflue”, ricompone la Piattaforma adoperando il vecchio e ormai fradicio materiale di legno. Il risultato, naturalmente, è modesto: la struttura è piccola, sgangherata e non presenta nemmeno quel fascinoso insieme di tende della capricciosa «pagoda cinese», inutilizzabile dopo quattro anni di incuria. Il luogo, pur essendo disadorno e poco accogliente – addirittura «a scartamento ridotto», come scrive L’Ausa il 2 agosto di quella prima estate di pace –, «è frequentatissimo». I riminesi però non accettano quella bruttura, la ritengono uno «sconcio», e con la SABR iniziano ad imbastire una lunga controversia condita di richieste e di proteste. Nonostante il malcontento l’«osceno spettacolo» andrà avanti di stagione in stagione. A dare man forte agli accaniti nostalgici della Piattaforma ci pensa la stampa. Superando le divisioni politiche del momento e facendosi interpreti dei sentimenti della cittadinanza, i periodici riminesi insistono all’unisono affinché l’assito torni nello stato in cui si trovava prima della guerra; in alternativa a questa ipotesi, reclamano sostanziose migliorie: l’ampliamento, il riordino e la ripulitura del legname e soprattutto la sistemazione di un adeguato tendaggio. Per ottenere ciò i giornali utilizzano tutte le armi della dialettica, comprese quelle dell’ironia e del sarcasmo. Va detto, però, che le insistenti critiche dell’informazione, rivolte a quell’«indecoroso baraccone», al di là delle tonalità grottesche tipiche della polemica, esprimono anche il grande amore che i cittadini nutrono per la Piattaforma, mito di alcune generazioni di bagnanti. Ma andiamo con ordine e godiamoci la gustosa carrellata di lagnanze estrapolate, anno per anno, dalla cronaca riminese della calura. «La piattaforma è ridotta in uno stato ridicolo tale che l’accesso si effettuerà, mare permettendolo», schernisce Germinal all’inizio della “burrascosa” estate del 1920, puntando particolarmente il dito sulle ampie feritoie del tavolato. Sempre in chiave scherzosa, il settimanale socialista propone di collocare dei cartelli segnaletici all'ingresso del sito con avvisi di questo genere: «Oggi vi è un po’ di mareggiata, si avvertono le signore e le signorine di calzare alti stivali di cuoio, se non vorranno bagnarsi i piedi per accedere alla piattaforma» (Germinal, 26 giugno 1920). Agli inconvenienti, denunciati durante le giornate di mare “imbronciato”, si aggiungono quelli di tutti i giorni, dovuti alla mancanza di un adeguato pergolato che ripari dal sole. «La contemplazione del mare – lamenta Cronache Azzurre il 12 agosto 1920 – non è possibile nelle ore calde, perché c’è ombra solo tra i leggii del concerto» e inoltre, senza ombra «le consumazioni vengono... consumate dal sole prima ancora di arrivare ai clienti». «Ogni anno la Piattaforma diventa più piccola e più mostruosa!», brontola L’Ausa l’11 giugno 1921. «Se si continuerà di questo passo – aggiunge sconsolato il periodico – la Società Bagni, tra breve, impianterà un unico palo a ricordo dell’elegante ritrovo d’altri tempi, preferito dalla colonia bagnante!». A detta dei giornali, la Società Bagni non sente «il dovere di spendere per la Piattaforma nemmeno quattro soldi in un po’ di vernice», e così facendo la lascia «diroccata e pericolante» ai «giusti sarcasmi dei forestieri e della cittadinanza» (Germinal, 16 luglio, 3 settembre 1921). Prendersela con i gestori di quel malridotto isolotto è diventato una sorta di gioco di società. Chi più ne ha ne mette. Di imprecazioni. Nell’estate del 1923 la Piattaforma, tenacemente superstite «all’ira degli uomini e alle ingiurie delle intemperie» (La Guida del bagnante, 15 giugno 1923), viene definita dal Gazzettino Azzurro del 22 luglio «lo scheletro della spiaggia». Infatti, a osservarla bene – spiega il foglio – non è altro che «un’ossatura di tavole e di travi che, congiunte alla meglio, si reggono a stento l’una all'altra». Uno «scheletro», tuttavia, ancora ghignante, che sollecita tutti a por fine alla sua interminabile agonia. Fermiamoci qui – ce lo richiede lo spazio della pagina –, continueremo a parlare del decadimento di questo luogo diventato leggenda per gli appassionati delle brezze marine nel prossimo articolo.

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