Don Bosco arriva a Rimini “Trattato come un principe!”

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Don Giovanni Bosco (1815-1888) giunge a Rimini nel pomeriggio dell’11 maggio 1882. Proviene da Magliano, dove ha sostato per due giorni dai salesiani durante il viaggio che da Roma lo riporta a Torino. Ospite del vescovo Francesco Battaglini (1823-1892), l’anziano prete di Castelnuovo d’Asti occupa per due notti la camera in cui dormì Pio IX durante il suo “famoso” giro per la Romagna. Il 13 pomeriggio, dopo avere per due giorni visitato infermi, luoghi di preghiera e di educazione e aver dato udienza a preti, seminaristi e persone di tutti i ceti, lascia la città diretto a Faenza. Del memorabile avvenimento non si hanno molte notizie; nel maggio del 1882 Rimini è momentaneamente priva di giornali e i periodici nazionali e regionali non menzionano il fatto. Unica fonte scritta, sebbene di limitata divulgazione, è La Parola, bollettino della diocesi riminese. Solo questo mensile, diretto da don Luigi Trevisani, riporta il soggiorno di don Bosco. Nel numero di maggio del 1882 vi si legge: «La venuta di don Bosco in Rimini fu quasi improvvisa: ma appena se n’ebbe sentore, il prestigio del suo nome e delle sue virtù fece che su tutti i passi di lui traesser turbe di visitatori; sicché nei due giorni che soffermossi fra noi furono a mala pena lasciate libere le ore del breve riposo che pigliavasi la notte, tant’era l’assedio che facevaglisi intorno da ogni condizione di persone ovunque si recasse, alle chiese, alle abitazioni degli infermi, riputandosi beato chi potesse vederlo, baciargli la mano, esser benedetto; beatissimo poi chi avesse una parola di consiglio o di conforto: credevasi di vedere un Santo». La trionfale accoglienza descritta da La Parola potrebbe far credere ad una esagerazione benevola del solito cronista cattolico, tanto più che in quel periodo la città è pervasa da un acceso anticlericalismo. Ma la descrizione, in questo caso, rispecchia con obiettività i fatti realmente accaduti. Ovunque l’umile sacerdote si presenti, si ripetono le stesse scene di entusiasmo con moltitudini che lo assediano convinte di trovarsi davanti ad un santo. Basti pensare che nel 1883, durante un viaggio in Francia, don Bosco viene accolto da un calore che la stampa d’oltralpe non può che definire «incandescente». Il Figaro, l’Univers, la Liberté, il Clairon, il Pèlerin e altri giornali scrivono di chiese che si riempiono fino all’inverosimile, di folle che si ammassano per le strade aspettando il suo passaggio, di gente che corre dietro alla sua carrozza, che lo accerchia e che quasi lo assale; tutti vogliono vederlo, parlargli, toccarlo; c’è anche qualcuno che con le forbici gli tagliuzza la veste per avere un suo ricordo. Se questo “fanatismo” religioso si verifica – come testimonia la stampa dell’epoca – in una Francia notoriamente fredda, apatica e scettica, c’è da credere che il soggiorno di don Bosco a Rimini sia stato un successo di pari proporzioni o meglio ancora, come diranno più tardi i biografi del sacerdote, «uno di quei trionfi popolari che sogliono accompagnare i Santi» (Don Bosco Ritorna, Numero unico, 1934). Lo stesso don Bosco, riferendo le sue impressioni sulla città romagnola a Francesco Tomasetti, un fanciullo che diventerà Procuratore generale della congregazione salesiana, dirà: «Sono stato dalle tue parti, a Rimini, che brava gente ho trovato colà!... Hanno trattato il povero don Bosco come se fosse stato un Principe!» (Don Bosco Ritorna, Numero unico, 1934). Tanti i riminesi colpiti dal carisma di questo prete, sia laici che clericali. Tra questi ultimi ricordiamo don Antonio Metalli (1859-?), don Francesco Venturini (1849-1915) e don Ugo Maccolini (1850-1922). Il primo, sacerdote salesiano dal 1879 e missionario nell’America Latina dal 1884. Il secondo, grande ammiratore dell’opera educativa di don Bosco, ministro del culto dal 1873, promuove diverse attività assistenziali a favore dei giovani e tra queste un oratorio e un Istituto per gli artigianelli con varie scuole di apprendistato. Il terzo, sacerdote dal marzo del 1873 e parroco della chiesa dei Servi dal 1876 – la reggerà per 46 anni valorizzandola nel culto e nell’arte – si batte con lena per avere i Figli di don Bosco a Rimini. Una battaglia, questa, certificata il 6 maggio 1893 in un supplemento de La Sveglia della Romagna, giornale che si qualifica con la dicitura di «popolare» e «cattolico». Su questo documento don Maccolini, rivolgendosi al Consiglio comunale, affronta la dolorosa realtà del disagio giovanile: un problema – sostiene – che potrebbe essere alleviato con la costruzione di un orfanotrofio e di una scuola di arti e mestieri da affidare ai salesiani. Il progetto, fattibile e lungimirante, non va in porto per l’ostinata avversione della Giunta municipale, decisamente anticlericale, composta da liberali e radicali e capeggiata dall’avvocato Carlo Alberto Masi. Nonostante il diniego dei partiti, don Ugo Maccolini continuerà a battersi per avere i salesiani a Rimini e sarà proprio la sua ostinazione nel portare avanti tale progetto che determinerà, nel 1919, l’assegnazione della Chiesa Nuova di marina (oggi Santa Maria Ausiliatrice) ai Figli di don Bosco.

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