Dieci anni dalla morte di Cesare Filippi, pittore di Forlimpopoli

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«Filippi non è pittore di teorie, non è pittore di filosofie. È piuttosto pittore istintivo, sensualmente immerso nella realtà che racconta, che descrive, che ama, che immagina , che subisce con una innocenza intelligente e attenta».

Così scrive con l’appropriatezza che lo distingue Pier Giorgio Pasini sul catalogo della mostra antologica dedicata all’artista dall’amministrazione provinciale e comunale nella Sala delle Colonne di Rimini nel 2004 edito dalla Pieve Poligrafica Editore di Villa Verucchio.

Cesare Filippi (Forlimpopoli 1924 – Vecciano di Coriano 2010) dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, appena diciannovenne, entra in clandestinità con il nome di battaglia “Pedro” unendosi ai partigiani della Brigata Garibaldi Romagnola che diventerà l’8ª Brigata Garibaldi “Romagna” nella primavera del 1944 fino alla liberazione di Forlì nel novembre dello stesso anno, quando viene sciolta dal comando Alleato.

L’esperienza della lotta partigiana non viene dimenticata dall’artista. Il ricordo riemerge periodicamente nella sua produzione, nella quale la condanna è rivolta a tutte le guerre, fabbriche di orrori e sofferenze. Questo è il tema centrale della mostra del 2017 “Segni della Resistenza” curata dal figlio dell’artista Fabio con Orlando Piraccini, in collaborazione con il Museo Archeologico Tobia Aldini e la Sezione Forlimpopoli dell’Anpi. Tutte opere «cariche di significati personali e sociali al tempo stesso», come scrive nella presentazione Orlando Piraccini, realizzate «con due linguaggi espressivi, uno sostanzialmente figurativo e l’altro basato sulla rottura dell’immagine con il recupero degli stilemi postcubisti e in chiave metaforico-simbolista» di rara efficacia.

Nell’occasione, il figlio Fabio presenta il libro “Rossi, gialli & altri colori che non posso dire” dell’editore Nulla Die di Piazza Armerina, dedicato al padre e alla sua vicenda umana.

Finita la guerra Filippi entra nella Jazz Band Aurora come violinista prima di diplomarsi all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1949 e trasferirsi a Rimini nel 1955 per insegnare educazione artistica all’Istituto Commerciale. Intensifica la sua attività grafica e pittorica, entra a far parte dell’Associazione riminese artisti e cultori d’arte e nel 1958 partecipa alla “Mostra di pittori riminesi” alla Camera di Commercio di Ravenna. Segue i canoni del neorealismo connotato politicamente, prediligendo i soggetti popolari legati al lavoro, alla rivendicazione sociale, alla casa, alla famiglia e principalmente alla scuola. Sono inquadrature o ampie rappresentazioni piene di vivacità grafica e coloristica, dove risalta il viraggio stilistico verso un espressionismo lirico e sentimentale. Lo si ritrova nelle grandi tele dell’inizio degli anni Ottanta come “La scuola” e “La bottega dell’antiquario”, la libreria antiquaria dell’editore Luisè a Palazzo Albini di Rimini, punto di incontro abituale di intellettuali e bibliofili. Sempre impostate sul concreto disegno di fondo e sul colore integrato da velature dense e sostanziose, nascono le figure negli interni, le scene di mare e di spiaggia con i corpi distesi al sole, i paesaggi, le nature morte, senza trascurare i ritratti.

Nel decennale della sua scomparsa, sembra doveroso ritornare alla lucida presentazione di Cesare Filippi da parte di Pier Giorgio Pasini: «Ha sempre respirato … l’aria del tempo o meglio dei tempi a cui appartiene … che dal neorealismo trapassa con coerenza in un espressionismo vivace e approda a un lirismo robusto che investe tutto il mondo visibile».

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