Diario di Caterina Cavina dalla zona rossa di Medicina

Imola

Non so bene quanti giorni sono passati dall'inizio della “quarantena”, una cosa che provano tutti, credo davvero ogni persona che è costretta a stare in casa sola, senza nemmeno il conforto del telelavoro, è perdere la cognizione del tempo. Non ci sono nemmeno le domeniche e le feste comandate da dare un ordine ai giorni. Così ci si ritrova a chiedere: ma oggi è sabato. Ci sono pochi appuntamenti fissi, l'appuntamento alle 18 con la Protezione civile in Tv e i vari telegiornali.
Il frigorifero però mi ricorda che devo fare la spesa settimanale. Ho provato a fare un piano di spesa, cosa che non ho mai fatto in vita mia, essendo single da anni. Ho un piccolo esercizio sotto casa in genere fornito di tutto, faccio la spesa giornaliera, capita anche più volte al giorno se mi accorgo che manca un ingrediente. Per me fare la lista delle cose che mancano, programmare i pasti, non è semplice. Alcune
persone si sono messe a dieta, non tanto per non crollare nella deriva calorica e alcolica della pandemia forzata, ma perché “non si può fare la spesa settimanale un giorno, mangiare tutto, e poi rifarla il giorno
dopo”. Mi dice un mio contatto.
Negozietto sotto casa.
Luciana, la commessa, sta attaccando un foglio. “Ricordati che chi lavora al supermercato non è immune al contagio, rispettalo quando vai a fare la spesa. Grazie”.
«Ce lo hanno mandato dei colleghi, si vedono certe scene in giro e chi ci rimette siamo noi. Oggi un signore mi ha aggredita verbalmente perché gli ho chiesto di mantenere la distanza di sicurezza». Luciana vive a Sesto Imolese, fuori zona chiusa, ha un lasciapassare per entrare e uscire da Medicina che sfrutta anche per portare la spesa a domicilio delle persone più deboli. «Molti anziani che conosco o famiglie che hanno paura a uscire».
Più difficile la situazione per chi lavora nella grande distribuzione. I primi giorni è stato preso tutto alla leggera. «Alcuni volevano subito le mascherine ma per non creare panico e preoccupazioni nei clienti ci è stato detto che era meglio non indossarle. Se la mettevi passavi per malato – dice una commessa che vuole rimanere anonima –. Poi ci hanno obbligato a metterle e appena hanno cominciato a chiudere alcune attività si è scatenato il panico. Siamo stati presi d'assalto. I primi giorni c'erano file interminabili alle casse. Ora facciamo entrare poca gente alla volta, si deve rispettare il metro di distanza in ogni punto del negozio soprattutto alle casse. Io naturalmente vado, devo andare, ma sono un po' preoccupata. Ho la stessa mascherina da una settimana… Sono introvabili. La gente: C'è chi capisce e sta zitto e alle regole e chi fa il prepotente e ti tratta come se volesse dirti “Tu sei qui per lavorare, pagato e non mi interessa di te”. I furbi delle spese da 1 euro ci sono sempre. Pochi giorni fa un responsabile ci ha detto: “Non parlate in negozio del fatto che non ci arrivano mascherine”. Ecco con questo ho detto tutto. Speriamo bene. Non resta altro da dire.
Sono dispiaciuta per chi è a casa, magari senza stipendio, ma non so se sia meglio lavorare o meno, soprattutto in certe situazioni».

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