Il Dante di Pazzi tra Ravenna e Firenze

Cultura

RAVENNA. «Il nostro Pazzi ha avuto grandi amarezze per quest’opera, ma verrà per lui il giorno del trionfo, e sarà splendido. Ormai la pubblica opinione si è pronunciata a suo favore, e gli avversari sono ridotti al silenzio».
Una lunga, accesa querelle politica, documentata dai giornali del tempo, accompagna la realizzazione del monumento a Dante in piazza Santa Croce a Firenze a opera dello scultore ravennate Enrico Pazzi (Ravenna, 1818 – Firenze, 1899).
La vicenda è calata pienamente nel dibattito risorgimentale e richiama attorno a sé nomi illustri della politica e della cultura, coinvolge Firenze e l’intera Toscana, fino ad aprirsi a tutte le regioni d’Italia.
La statua era per Ravenna
Quando, nel 1852, lo scultore ravennate inizia a progettare la statua di Dante, è convinto di realizzarla nella sua città natale e di collocarla davanti al teatro dedicato al sommo poeta.
Ma il municipio di Ravenna rifiuta la proposta per motivi economici. Il Pazzi crede invece che sia per ragioni politiche: «Invase come erano le Romagne dai tedeschi e feroce la reazione governativa a quell’epoca».
Il suo Dante sta pronunciando, infatti, i celebri versi: «Ahi serva Italia di dolore ostello, / nave senza nocchiero in gran tempesta / non donna di province, ma bordello” (Purgatorio, canto VI, vv 76-78).

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