Dante-Germano, un paradisiaco lampo di perfezione

Che aspetto ha la visione del Paradiso di Dante settecento anni dopo? È ancora indicibile, sfolgora di luce trina, avvolge di stupore e mistica beatitudine. Come avviene in Dante, così all’uomo del presente la visione di meraviglia perfetta sfoca in un attimo; ma può essere raccontata, a chi è disposto ad ascoltare, per condividere insieme all’umanità il lampo di perfezione.
Ha debuttato Paradiso XXXIII, messa in scena dell’ultimo canto della “Divina Commedia”, al teatro Alighieri di Ravenna, a suggello di un anno straordinario per Ravenna festival nel nome di Dante Alighieri. Lo spettacolo, di e con Elio Germano, prova a raccontare la tensione di Dante nel raggiungere la visione di Dio. Lo fa con modalità creative e di pensiero di questo tempo; così, al posto di immagini fantasmagoriche che hanno illustrato secoli di Commedia, prendono corpo immagini astratte di luce tecnologicamente avanzata, suoni creati ad hoc, e una voce dantesca che fuoriesce dal bisogno sempre attuale di raggiungere il sublime.
Elio Germano ha trasformato la lettura di piazza di un anno fa, davanti al presidente Mattarella, nel progetto Paradiso XXXIII trasportando quegli stessi versi, non una parola di più, in una visione scenica. Con lui artisti che si sono dedicati all’ambizioso progetto come corpo unico. A cominciare dal compositore Teho Teardo con cui ha portato avanti l’avventura di “Viaggio al termine della notte” di Céline. Teardo, in sinergia con la voce dell’attore, crea una partitura variegata e ricca di registri; accompagna emozionalmente il Dante-Germano nell’esprimere sia la visione, sia la testimonianza al pubblico. Sonorità pulsanti che danno voce all’universo, tensione sospesa, suoni incalzanti, ma anche cori, armonie più dolci, archi ristoratori dal vivo di Ambra Chiara Michelangeli viola, e Laura Bisceglia violoncello.
Germano apre dando corpo ai versi con fare da asceta; seduto in uno spazio che funge da grotta, luci che identificano il volto di San Bernardo, invoca il «vergine madre, figlia del tuo figlio» a voce bassa, “sporca” (le parole si sentono poco). Distilla ogni verso, che rifrange di eco ripetuta; in maglia e pantaloni grigi, viene condotto nell’estasi con il bianco cangiante e stroboscopico di luci cosmiche, quindi da colori di bellezza perfetta. Sono energie visuali dei registi creativi Simone Ferrari e Lulu Helbaek. Esperti di grandi palcoscenici, da Cirque du Soleil a cerimonie olimpiche, entrano in Paradiso XXXIII con essenzialità e asciuttezza di visioni, efficaci ma senza orpelli. Ciò in linea con la volontà del protagonista che non sceglie di stupire; da uomo moderno il suo dettato vuole essere emozionale, la voce rivela turbamento interiore; alterna il frastuono che si accende nell’animo teso all’apoteosi, a un esporre franco, seduto in proscenio. Per riuscire come Dante a vedere la luce perfetta, ma insieme all’umanità.

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