Dalle dimissioni di Arturo Clari alla conquista dell’autonomia municipale

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1922. L’Italia è in pieno caos. La Sinistra, dopo tanto tumultuare, segna il passo mentre le “camicie nere” avanzano e dilagano. Gli effetti di questa dirompente situazione politica si ripercuotono sul governo. All’inizio di febbraio il ministero Ivanoe Bonomi (1873-1951), che sarà ricordato per avere tentato una mediazione tra socialisti e fascisti attraverso un patto di pacificazione, si dimette e le redini del comando passano a Luigi Facta (1861-1930). Con l’arrivo della bella stagione i camerati – appellativo con cui si designano tra loro i fascisti – hanno in pugno quasi tutte le piazze d’Italia, compresa quella di Riccione. Qui, a dire il vero, più che la piazza ad attirare le “camicie nere” è la spiaggia. Tra questi “bagnanti”, fanatici del sole, del mare e delle chiacchiere d’ombrellone, si distinguono alcuni sodali di Dino Grandi (1895-1988). I socialisti, messi alle corde da questa travolgente ondata di fascisti, abbandonano la scena pubblica e non pochi, per ingraziarsi quelli che appaiono i nuovi “padroni del vapore”, si affrettano persino a cambiare gabbana. In questo clima di totale smobilitazione, il 6 luglio 1922 la Giunta socialista retta da Arturo Clari si dimette. I repubblicani, tramite La Riscossa, l’hanno attaccata per mesi accusandola di essere «dispendiosa, clientelare ed inconcludente»; di più: di avere portato il disavanzo comunale e il peso fiscale a livelli intollerabili. Anche L’Ausa, cattolica e popolare, che ha denunciato a più riprese i “rossi” per avere creato una situazione finanziaria insostenibile, plaude alle dimissioni, dovute – scrive – «al marasma e all’incompetenza amministrativa». Dopo il Comune a chiudere bottega è il periodico socialista. L’8 luglio Germinal, megafono delle grandi battaglie sociali e politiche dei “compagni” di tutto il circondario riminese, cessa le pubblicazioni. A partire dai primi mesi dell’anno il giornale era divenuto una fievole voce nel deserto degli antichi ideali, senza più sostenitori per sopravvivere. Uno degli ultimi, se non addirittura l’ultimo ad abbonarsi al settimanale quando ormai boccheggiava, è un riccionese: Eugenio Torri. La sua quota annuale è registrata i primi di giugno. Una nobile prova di fede e di incoraggiamento, ma inutile e fuori tempo. Con le dimissioni della Giunta Clari il “vuoto” amministrativo che si apre blocca qualsiasi iniziativa già inserita in calendario, compresa quella dell’autonomia comunale di Riccione e San Lorenzo in Strada. Stando alle cronache dei giornali sembra che proprio su questa spinosa faccenda i socialisti delle due borgate si siano giocati parte della loro credibilità. Una fetta del proprio elettorato, infatti, li accuserà di aver perso tempo sulla questione. Troppo tempo. Un “attendismo” sospetto, inteso come “servilismo” nei confronti dei “compagni” riminesi da sempre contrari a concedere la “libertà” ai riccionesi. L’argomento della conquista del Municipio, molto complesso e intrigante – lo evidenziamo per il rispetto dovuto alla riflessione sui fatti storici –, meriterebbe una narrazione ampia e articolata, molto più esauriente di quella che ci apprestiamo a stendere; un approfondimento espositivo che lo spazio e il taglio editoriale “leggero” di queste settimanali “Pagine di cronaca riccionese dei primi anni del Novecento” non hanno. Le poche righe che seguono tracciano solo i momenti salienti e didascalici di questa travagliata ma entusiasmante avventura sulla quale, non a caso, nel marzo di quest’anno abbiamo dato alle stampe per i tipi della Panozzo editore il volumetto Riccione 1922. La conquista del Municipio. Detto questo, procediamo. L’uscita di scena dei socialisti rimette la “secessione” nella mani e nei propositi del Comitato Pro-comune autonomo che ha, da sempre, in Felice Pullè la sua autorevole guida. Questi, aiutato con spregiudicata disinvoltura da un manipolo di villeggianti in “camicia nera”, il 24 agosto appellandosi al principio dell’autodeterminazione dà corso ad una vera e propria “rivolta” di popolo e con una azione di disubbidienza civile proclama l’indipendenza da Rimini. L’operazione – sotto certi aspetti eversiva – brucia la terra sotto i piedi alle autorità governative e ai burocrati della Provincia i quali, vista la determinazione dei riccionesi, si precipitano a sciogliere l’ingarbugliata matassa e a legittimare le sacrosante aspettative delle due frazioni. A fine settembre il Consiglio di Stato dà parere favorevole alla costituzione del Municipio e il 19 ottobre 1922 è emanato il Regio decreto n° 1439, che sancisce la nascita del Comune autonomo di Riccione e San Lorenzo in Strada. Le prime elezioni amministrative del nuovo ente territoriale hanno luogo domenica 14 ottobre 1923. L’appuntamento chiama alle urne 1.527 elettori. In lizza per entrare a far parte della prima rappresentanza civica della “città” c’è una sola lista: la lista del Fascio. «La lista del Fascio – avverte Il Popolo di Romagna due giorni prima della consultazione elettorale – non va discussa, ma votata ... chi non vota è un nemico nostro e del paese». L’esortazione è perentoria, ma al di là del suo lessico brusco e stringato, c’è in essa il desiderio di superare le rivalità e i personalismi della “vecchia” politica. Nell’elenco dei candidati, del resto, ci sono diversi «cittadini volenterosi» e al di sopra delle parti; di fascisti, con tanto di tessera, ce ne sono pochi; mancano, tuttavia, i socialisti e i comunisti. Il corpo elettorale, «chiamato al primo atto solenne dopo la costituzione del Comune», affluisce alle urne «compatto e numeroso». Si calcola – scrive La Riviera Romagnola il 18 ottobre 1923 – che abbia votato oltre l’80% degli elettori». Nella prima riunione del Consiglio comunale, che si tiene alle ore 15 del 4 novembre 1923 nella «sala delle adunanze dell’edificio scolastico municipale», Silvio Lombardini, senza tessera fascista, è eletto sindaco di Riccione.

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