Dall'Ucraina a Cesena i racconti di solidarietà nella guerra

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Quando cominciò l’invasione russa in Ucraina tra i primi a scendere in piazza a Cesena c’erano anche Lubomyr e sua moglie. Quella presenza rispondeva all’urgenza di fare qualcosa, anche se a distanza. Un’urgenza che non si è mai spenta in questi mesi. Lubomyr è un artigiano, vive in Italia da quasi vent’anni, è originario della zona di Ternopil, dove ancora vive suo fratello gemello Orest, prete greco-cattolico, che dall’inizio della guerra è impegnato nell’accoglienza dei profughi in fuga dalle zone del fronte.

Una signora ucraina capitata nel negozio dove lavora la moglie di Lubomyr le ha raccontato che stava cercando un appoggio sicuro per la figlia e i nipoti, scappavano da Kharkiv, il marito è un militare aveva trovato una persona fidata che le avrebbe portate fino a Ternopil, da Ternopil avrebbero avuto un passaggio sicuro fino a Cesena, ma sarebbe partito solo qualche giorno dopo. «La signora e mia moglie non si conoscevano, ma quando ha sentito quel racconto mia moglie le ha detto che Orest, mio fratello, l’avrebbe aiutata. È bastata una telefonata - racconta commosso -. Sono arrivati su un tir di notte, rischiando per il coprifuoco. Mio fratello è riuscito a trovargli posto in un centro che prima accoglieva pellegrini. Sono tutte persone che pur non conoscendosi tra loro hanno messo a rischio le loro vite pur di aiutare qualcuno».

Qualche giorno dopo l’inizio hanno accolto la sorella di sua moglie e suo nipote di 8 anni. «Mio nipote appena arrivato spesso piangeva nel sonno, le sirene delle ambulanze lo spaventavano tantissimo, adesso va meglio ma ha sofferto tanto». «Le persone che conosco io - racconta Lubomyr - non hanno visto il male da vicino, le case distrutte dalle bombe. Ma anche nelle zone più “calme” si sa che non c’è nulla che possa impedire alle bombe di tornare». Il fronte è distante, ma la guerra è una presenza costante: «Quando passano i treni con le salme dei soldati, le persone si inginocchiano per rendere omaggio a quegli sconosciuti che senti vicini come fratelli».

Dai racconti di Lubomyr emerge spesso il senso di una comunità solidale di persone che si aiutano ciascuno in base alle proprie possibilità: «Mia suocera vive con noi ormai da qualche anno, nella sua casa nei Carpazi adesso vivono 9 persone che hanno trovato rifugio lì. Mio cognato ormai gestisce tre case: sono tutte di persone che sono andate via ma le hanno messe a disposizione. Si è creata una comunità di persone che si aiutano, coltivano l’orto, cercano di dare una mano in città». Quando degli amici romagnoli gli hanno affidato dei soldi da mandare in Ucraina per aiutare la popolazione è a suo cognato che ha deciso di affidarli: «Una metà sono serviti a finanziare un pulmino che andava a recuperare delle persone che scappavano da Mariupol, con l’altra metà invece l’ha usata per acquistare della carne con cui hanno fatto delle conserve che poi hanno donato ai centri profughi della città». Umberto Pallareti, Paolo Ceccaroni, Paolo Pagan, Fabio Bonafè sono questi i nomi degli amici che hanno fatto la donazione, a questi aggiunge quello di Claudio Faggiotto: «Da subito hanno fatto tutto quello che potevano per aiutare».

«Sbaglia chi dice che sono le armi degli americani ad alimentare questa guerra, ho amici d’infanzia che si sono arruolati volontari, gli ucraini avrebbero combattuto comunque, anche con le pentole se non avessero avuto altro». «Nessuno sa quanto durerà questa guerra, credo però che la clessidra della Russia stia per girarsi e allora comincerà una nuova fase che non sappiamo come sarà. Ma arriverà anche il tempo della ricostruzione e lì avremo nuovamente bisogno dell’aiuto di tutti».

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