«Imola non è accogliente e qui non ci si sente sicuri. Mi è capitato più volte che per strada col mio gruppo, composto di persone visibilmente queer, ci facessero commenti violenti. Non c’è nessun posto in cui prima di uscire io non mi chieda o controlli da chi è frequentato». Mattia, persona trans non binaria del collettivo che organizza il pride Rivolta Gaya che si è svolto il 24 giugno nel piazzale della stazione per rivendicare i diritti e le istanze della comunità Lgbtqia+, da Imola ha dovuto allontanarsi per potersi ritrovare, per «ricentrarsi». Usa questa parola che dà conto della difficoltà di vivere la propria identità di genere non binaria in un posto in cui la dimensione sociale non è accogliente. In effetti a Imola probabilmente in tanti non sanno nemmeno cosa significhi queer, un termine ombrello entro cui possono riconoscersi tutte le persone che non si identificano nei due generi maschile e femminile assegnati alla nascita e anche, o oppure, che non siano eterosessuali. «Mattia non è il nome che ho ricevuto alla nascita», spiega.
L’incontro con l’associazione
«A Imola mi sentivo molto fuori posto – continua a raccontare, ci tiene a sottolineare che la sua è solo una di molte esperienze, e non può essere rappresentativa di tutte –. Una volta che ho cominciato a frequentare Bologna e ho iniziato a conoscere più gente aperta pian piano ne sono venuto fuori». Dopo un brutto periodo è avvenuto l’incontro con Rivolta Gaya: «Lo scorso maggio ho conosciuto il collettivo partecipando al pride e ho chiesto di dare una mano. Per me è stata un’ottima scelta. Ho scoperto che c’era qualcuno che si batteva per i diritti della comunità. Questo mi ha aiutato anche a sentirmi al sicuro. So che se mi succede qualcosa posso contare sul gruppo, c’è questa rete. Siamo sempre pronti ad ascoltare». Una testimonianza potente per dimostrare che un sostegno vitale può venire anche da reti lontane dalla famiglia tradizionale.
Manifestazione vitale
Sebbene poco distante da Bologna, con un pride da migliaia di persone, la manifestazione imolese resta più piccola ma fondamentale: «È importante far sentire le persone parte di qualcosa. Chi viene da fuori per scendere in piazza con noi dice che è un pride molto bello perché si sente che è vivo e autentico, che c’è il bisogno essere presenti in questa città un po’ dimenticata». Ora più che mai: «Da quando è stato eletto il nuovo Governo c’è stato un rafforzamento nell’attacco a tutta la comunità, anche da parte popolare. Non che prima non ci fosse, ma adesso gli insulti e gli attacchi sono più liberi. La lotta alla comunità si cela dietro la difesa della famiglia tradizionale ma è un attacco spudorato ai diritti delle altre famiglie, come testimoniano le azioni dell’Esecutivo per annullare o negare la registrazione dei figli di coppie omogenitoriali. C’è uno spudorato attacco in corso: stiamo tornando indietro. Sarebbe bello che gli imolesi prendessero posizione e scendessero in piazza», conclude.
«Sulle nostre vite non faremo un passo indietro: R-Esistiamo insieme». Uno slogan, la resistenza dell’esistenza, che spesso emerge nelle piazze. Ma quello del collettivo Rivolta Gaya di Imola, che domani organizza la sesta edizione del Pride imolese, assume una duplice accezione. Perché vi è racchiuso al suo interno la lotta per la propria identità, indistricabile da un’esistenza libera. «Tutto parte da quando con il baby shower si “festeggia” il nostro sesso biologico. Maschio è blu, femmina è rosa. Ancora non è chiaro che il sesso biologico non rappresenta niente della nostra identità e della nostra persona», scrivono in un comunicato stampa. Il dibattito pubblico sui diritti civili a Imola non è di certo tra i più ferventi e temi come l’identità sessuale, di genere, i diritti delle famiglie arcobaleno restano piuttosto in secondo piano. Il pride imolese, che quest’anno anticipa l’analoga manifestazione bolognese di inizio luglio, senz’altro accenderà qualche luce e molti colori, sulla comunità lgbtqia+ e sulle loro rivendicazioni, in particolare sui diritti delle famiglie omogenitoriali. «Passo dopo passo si costruisce attorno a noi il recinto del modello patriarcale eteronormato: un mondo basato su un rigido binarismo di genere, sulla divisione sessuale del lavoro, sulla violenza maschile e sul privilegio dell’uomo bianco, cis, abile, eterosessuale – proseguono –. La violenza strutturale nei confronti della comunità lgbtqia+ si è scatenata negli ultimi mesi nei gravissimi attacchi alle famiglie omogenitoriali dai rappresentanti dell’Esecutivo e delle istituzioni. Il Governo Meloni sta facendo pressione su quei pochi sindaci responsabili perché neghino le trascrizioni all’anagrafe o le annullino. Non avere o perdere la registrazione o la trascrizione degli atti di nascita significa cancellare uno dei due genitori e negare l’esistenza delle nostre famiglie. Oggi tentano di negare questo diritto e domani su quali altre nostre conquiste tenteranno di farci arretrare?».