Daisy a spasso nel tempo a Meldola

Razzismo, discriminazione, divario fra generazioni, e su tutto lo scorrere del tempo: non sono temi da poco quelli che Alfred Uhry propone in A spasso con Daisy trattandoli però con leggerezza e con un sorriso. Nato come testo teatrale nel 1987, vincitore l’anno dopo del Premio Pulitzer per la migliore drammaturgia e di quattro Oscar nella versione cinematografica di Bruce Beresford, lo spettacolo arriva al teatro Dragoni di Meldola, il 4 marzo (ore 21), con la regia di Guglielmo Ferro e l’adattamento di Mario Scaletta. In scena, Milena Vukotic, Salvatore Marino e Maximilian Nisi, felicissimo della tappa meldolese.

«Sono nato a Faenza e sento legami molto forti con la cordialità dei romagnoli, con una dedizione al lavoro congiunta alla capacità di vivere. Vivo lontano da trent’anni ormai, ma tutto questo lo porto con me, nella mia vita di tutti i giorni. Quindi è una festa tornare in Romagna, e se anche non mi è capitato di lavorare nella mia città, Meldola è già “casa”, dove riappropriarmi del mio passato durante una grande tournée».

“A spasso con Daisy” tratta in modo lieve temi seri.

«C’è chi l’ha definito un “fumetto”: semmai è un gioco teatrale molto curato nelle luci, nei costumi, nelle scene, leggero sia per le scelte di regia che per le nostre interpretazioni, insomma un bel modo di ripartire. Riproporre la versione teatrale significa inoltre riportare lo spettacolo alla forma originale».

E comporta differenze?

«Alcuni personaggi del film qui non ci sono. Ma questo dà la possibilità di rendere i nostri ancora più sfaccettati, con più materiale a disposizione per portare avanti ognuno il proprio percorso».

Quindi questa “mancanza” diventa un’occasione.

«Sì, anche perché una delle grandi sfide della pièce è riuscire a raccontare il passaggio del tempo. Lo studio sui personaggi ci permette, senza i mezzi del cinema, di mostrare 25 anni delle vite di Daisy, di suo figlio Boolie e dell’autista Hoke. Si gioca sulle musiche, sui costumi e le scene, ma soprattutto sulla fisicità e poi su un’interazione fra di noi fatta di ascolto reciproco e di armonia, proprio il contrario di quella spinta alla sopraffazione che ci vediamo tragicamente attorno in questo giorni».

Non deve essere semplice.

«No. Boolie, il mio personaggio, così dedito al lavoro, superficiale e anaffettivo, durante l’ora e mezzo di spettacolo letteralmente si disfa, invecchia più degli altri, consumato dall’arrivismo che lo divora. I personaggi hanno un “loro” tempo, raccontarlo attraverso postura, ritmo, modo di parlare non è semplice, ma è anche una festa per noi che amiamo la trasformazione. Devi proprio mutare il modo di rapportarti alle cose, infatti, ma con leggerezza e semplicità, che nel nostro mestiere non sono punti di partenza, ma di arrivo. I temi stessi che la pièce affronta sono… la vita, una vita reale, fatta di sfumature, che emoziona, diverte, commuove».

Una bella prova per un attore.

«Lo è proporre uno spettacolo come questo, da cui il pubblico esce avendo vissuto un’esperienza quasi catartica. È importante infatti saper giocare con le cose serie: lo dimostrano Milena Vukotic e il suo lavoro con Villaggio o i film di Totò, molti dei quali sono paragonabili a quelli di Keaton, di Chaplin… L’uomo del resto ha bisogno del racconto, per questo da millenni esiste il teatro, una narrazione che non si è mai interrotta a parte la chiusura innaturale da noi, negli anni più duri del Covid. Ma il teatro è necessario e formativo, aiuta a vivere. E a vivere meglio».

Biglietti: 22-12 euro

Info: 0543 26355

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