Da Viserba alla Thailandia. Vola alto il ristorante romagnolo che alimenta la solidarietà. Nel 2007 aveva scelto Bangkok per un progetto lavorativo di tre anni, ma non se n’è più andato; perché al cuor non si comanda, specie quando Cupido scocca la freccia per un Paese dal fascino millenario. Così Andrea Bernardi, ora 56enne, ha finito per mettere radici dall’altra parte del mondo. Prima si è distinto nella gestione di due ristoranti, poi nel 2020 ne ha aperto uno tutto suo, nonostante l’ombra del Covid, «della serie adesso o mai più». Situato nel cuore di Sathon, il quartiere dove sorgono banche e ambasciate, il suo “Via Emilia” ha presto conquistato residenti e turisti restando aperto 361 giorni l’anno dalle 11.30 alle 23. Vanta 120 posti a sedere, di cui 20 all’aperto con una cinquantina di dipendenti. Ciliegina sulla torta, nel 2022, la sua pizza ha conquistato il 19° posto fra le migliori di tutta l’Asia. «Il prodotto iconico del Belpaese è il gancio per conquistare un target molto vario – spiega Bernardi –. Il mio è un ristorante dove si vede l’uomo d’affari seduto vicino a una famiglia. Il nostro motto è lampante: per venire da noi non serve un giorno speciale, saremo noi a renderlo tale».
Reperisce con facilità prodotti made in Italy?
«Sempre, eccezion fatta per il cotechino che forse sono tra i pochi, se non l’unico, a usare fuori dalla stagione natalizia. Per il resto c’è l’imbarazzo della scelta: dal Parmigiano al prosciutto di Parma. Tutti i prodotti Dop o Igp, fiore all’occhiello dell’Emilia Romagna».
Com’è approdato al mondo della ristorazione?
«La mia è una tra le dieci famiglie che hanno fondato Viserba. In particolare mio padre aveva in società con i fratelli la pensioncina “Firenze” di via Dati, ora chiusa. D’inverno lavoravano nel settore del riscaldamento, investendo i guadagni nel turismo. Sono cresciuto respirando l’arte dell’accoglienza. I romagnoli vengono dalla miseria, non hanno il mare della Sardegna e puntano tutto sull’ospitalità. Quindi è stato naturale aprire un locale con un socio, sempre nella mia Viserba. Era il 1995 quando ho inaugurato “Il barracuda” per poi venderlo nel 2004. Gli arredi di allora sono nel ristorante di Bangkok».
Cosa ama della Thailandia?
«Quante pagine ha? Quando sono arrivato, invitato da un ex dipendente, avevo appena finito di costruire la mia casa, dove ho abitato dieci giorni. Non sono più tornato sui miei passi. I thailandesi sono un popolo gentile ed educato, Bangkok una città cosmopolita e vivace. Forse la sanità è migliore di quella europea, anche per strumentazione all’avanguardia, tant’è che ho più paura quando varco la soglia di un ospedale italiano. Passando all’istruzione, esistono scuole internazionali molto valide e la sicurezza è palpabile a fronte di pene severe per chi sgarra. Ma non solo. I thailandesi hanno accessi facili al credito sia per acquistare un tetto che per avviare attività. Quasi tutti hanno una signora che li aiuta nelle pulizie».
Capitolo personale.
«Ho 50 dipendenti: 22 thailandesi e 28 di origine birmana, la più grande è la mia segretaria con una quarantina di primavere sulle spalle. Lavorano con zelo, sono attenti alle esigenze della clientela e al rispetto dei ruoli. Gli uomini lavorano in cucina, le donne in sala. Tutti sono ben pagati e proprio la ristorazione offre gli stipendi più alti del commercio. Turni a parte, le vacanze sono concentrate ad aprile per il Songkran, la ricorrenza più importante del calendario che permette di ricongiungersi con i parenti».
Le spese sono una nota dolente?
«La tassazione è al 20%, per l’elettricità spendevo l’equivalente di 1.500 euro al mese, un importo raddoppiato dalla recente crisi economica ma ancora ben sostenibile. La pandemia ha aumentato i costi delle materie prime, anche quelle locali, di almeno un 30%. Un esempio? Il prezzo di un gallone (circa 4 litri, ndr) di olio per friggere è quasi raddoppiato finché l’incremento è sceso assestandosi al +30%».
Piatto forte?
«Le lasagne accompagnate da una bottiglia di Primitivo Lambrusco senza dimenticare cappelletti o piade. Quanto ai tempi di servizio, sono più veloci rispetto all’Italia con attese di 12 minuti al massimo. Nessun thailandese permettere di sforare. Accontentarli su questo fronte è una chiave del successo».
Progetti futuri?
«Continuare ad aiutare sia l’orfanotrofio che sorge davanti al locale, sia quello gestito dalla Take Care Kids Foundation che, distante 150 chilometri, sostiene una quarantina di giovani vittime di abusi o violenze. I 170 bimbi a due passi da noi sono seguiti nel migliore dei modi dallo Stato. Noi offriamo solo la pizza a cadenza regolare e rendiamo più divertenti le giornate donando giochi, dalla bici allo skateboard. Solo una strada ci separa, nient’altro».
Complimenti Andrea!
Bravo Andrea,
hai descritto bene come si vive inThailandia,
io aggiungo: è il migliore paese al mondo per viverci