Da Gambettola alla Piazza Rossa, lo chef Emanuele Pollini

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Da Gambettola alla Piazza Rossa. Emanuele Pollini, 34 anni, ha già fatto il giro del mondo lavorando in diverse cucine molte delle quali a tre stelle. Dal 2016 è approdato a Mosca e lì fino all’anno scorso è stato l’executive chef del ristorante OVO di Carlo Cracco. Poi, per un animo che fermo evidentemente non ci sta, e soprattutto ama le sfide, si è palesata l’ipotesi di un progetto gastronomico che ha quasi del faraonico, lo Stolen Artichoke che dovrebbe vedere la luce proprio quest’anno all’interno di una ex centrale elettrica alle spalle del Cremlino. Lo chef romagnolo si è fatto trovare pronto e ne è diventato il brand chef. Al suo fianco avrà anche un collega e concittadino, Simone Gobbi, anche lui di Gambettola «mio compagno di scuola anche all’Alberghiero Artusi di Forlimpopoli che mi ha seguito fin da quando sono partito da Milano per venire a Mosca. Sono quindi quasi otto anni che lavoriamo insieme».
Pollini, partiamo dalla fine, ovvero da questo progetto che deve partire e che la coinvolge. Ce lo racconta?
«The Stolen Artichoke nasce nel 2019 da un’idea del businessman siciliano, che da molti decenni vive in Russia, Nicola Mavica. Verrà realizzato all’interno di una ex centrale elettrica GES2 costruita nel 1907 sul lungofiume Bolotnaya, nel famoso quartiere Ottobre Rosso, nel centro di Mosca. Nel 2009 è stata acquistata da uno dei più importanti oligarchi di Mosca Leonid Mikhelson, insieme a Teresa Iarocci Mavica, con la sua fondazione VAC che si occupa di cultura e il progetto per la ristrutturazione, in corso, è stato affidato a Renzo Piano. Sarà infatti un grande centro culturale e polifunzionale di arte contemporanea, all’interno del quale verranno organizzati diversi luoghi dedicati al cibo e alla cucina. Uno spazio di oltre 40mila metri quadrati, dove lavorerà un team di circa 250 persone: un’ottantina in cucina, 8 sommelier, 30 baristi, 18 pasticcieri, 100 nell’ospitalità, 14 in amministrazione».
Che tipo di cucina proporrete?
«In generale una cucina fatta di grandi materie prime, reperite in loco ma anche importate, ovviamente con i vincoli di embargo che sono attualmente in vigore, ad esempio nei confronti dell’Italia. Le proposte poi saranno differenziate, ci sarà un ristorante di fine dining, una vera e propria mensa per chi lavora nella struttura ma aperta anche ai frequentatori, un bistrot che si affaccia su un bosco di circa mille betulle che abbiamo creato apposta, qui si punterà soprattutto si superfood e vegetale, un grande bar nella piazza che digrada verso il fiume, qui saranno presenti anche postazioni mobili dedicati allo street food. Ci sarà anche una panetteria che sfornerà pane fresco ogni giorno. Intanto stiamo aprendo un laboratorio dove mettere a punto tutto quello che offriremo nelle varie soluzioni e lì stiamo mettendo a punto i nuovi menù. Uno degli obiettivi principali è far risaltare la salubrità del cibo riscoprendo semi antichi, una straordinaria gamma di piante, fiori commestibili, frutti poco conosciuti e accostamenti inusuali. Reinventare la vasta gamma di tradizioni culinarie in qualcosa di nuovo, unico e contemporaneo».
Nel suo curriculum l’alta cucina si sposa al viaggio. Partito fresco di diploma dal Lido Lido di Vincenzo Cammerucci, poi Terre Alte, La Buca e Frantoio Turchi in Emilia-Romagna, è volato in fretta al tre stelle Michelin Martin Berasategui nei Paesi Baschi quindi al Clooney in Nuova Zelanda. Poi l’incontro con Cracco e il suo “Camilla in Segheria”, la parentesi nordica al tre stelle Maaemo di Esben Holmboe Bang a Oslo, quindi l’incarico di Cracco a Mosca. Una destinazione forse più ostica delle altre. Come è andata?
«In effetti qui all’inizio ero abbastanza spaventato all’idea di avere difficoltà nell’integrarmi. Poi il primo anno è volato via nella frenesia del lavoro, al secondo anno mi sono detto resto qui poi vediamo. Al terzo, mi sono detto che poi non si stava così male, al quarto mi sono convinto che si stava bene e che in effetti qui c’è molto movimento e le possibilità sono tantissime. In questi pochi anni ho visto una grandissima evoluzione in campo gastronomico in questo Paese. Prima c’erano molti cuochi e chef anche senza gradi basi che però erano sopravvissuti per decenni. Poi sono arrivati molti cuochi con una grande preparazione e sempre più esperienza, l’offerta si è evoluta, tanto che ora arriva in Russia anche la Guida Michelin. A questo punto mi sono convinto: ero arrivato nel posto giusto. Quando poi mi hanno proposto questo incarico, subito ho pensato che fosse anche più grande di me, ma poi ho accettato la sfida, le sfide bisogna raccoglierle e mettersi in gioco».
Quindi dopo molto viaggiare un approdo. E la Romagna?
«Beh sì per ora resto qui. Tutte le altre volte andavo lontano per ritornare, poi una volta a casa pensavo che lì tutto era sempre uguale e ripartivo. Oggi resto qui, ma sento che la Romagna mi manca e a dire il vero, anche se adesso sono bloccato qua per la pandemia, in questi anni sono tornato spesso e anche la Romagna aveva un sapore nuovo. Tornavo per godermi casa mia, respirare il mare e la collina, andare a prendere il vino o l’olio in campagna. Insomma torno ancora più volentieri e poi qua porto un po’ della Romagna in cucina, le lasagne, il risotto alla marinara, i cappelletti. Cerco ovviamente di evolvere e rendere più contemporanei anche questi piatti, ma la loro anima è romagnola».

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