Da Cesena a Rimini è bello prenderla larga per ammirare gioielli come Sarsina e San Leo

Da Cesena a Rimini, lungo la via Emilia, è una passeggiata di nemmeno 30 km. Perché, però, limitarsi alla pianura, quando in bicicletta, attraversando l’affascinante entroterra fra le due province, si possono macinare decine di km e dislivello? D’altra parte, siamo in Italia dove, secondo il celebre aforisma di Ennio Flaiano, la linea più breve fra due punti è l’arabesco. Così, da Cesena, ci si può divertire a disegnare un percorso che dai colli cesenati si avventura nel Montefeltro, fino a San Leo, attraverso borghi millenari come Sarsina e Sant’Agata Feltria, cariche di storia, affrontando salite ora pedalabili (monte Finocchio e Botticella) ora cattive (San Leo), per tornare poi verso valle e fare ritorno alla base proprio lungo la placida via Emilia.

Il percorso

Cesena – Ranchio – Monte Finocchio – Sarsina – Sant’Agata Feltria – passo della Botticella/poggio Rimini – Novafeltria – Secchiano – San Leo – Pietracuta – Santarcangelo – Cesena. Distanza: 130 km circa

Principali salite

Monte Finocchio (612 m): lunghezza 7 km; pendenza media 5,3%, max 10%; dislivello 375 metri.

Passo della Botticella/poggio Rimini (799 m): lunghezza 13 km; pendenza media 5,6%, max 11%; dislivello 645 metri.

San Leo (573 m) da Secchiano: lunghezza 6,6 km; pendenza media 5,8% max 12%; dislivello 386 metri.

Da Cesena verso il Monte Finocchio

Il primo segmento, da Cesena a Ranchio, misura poco meno di 30 km: dapprima si percorre la strada regionale 71 poi, a Borello, alla rotonda, si piega leggermente a destra imboccando la strada provinciale 29 che risale la valle del Borello. A parte una breve salitella prima di Piavola, si procede in falsopiano fino a Linaro, in corrispondenza del quale il tracciato si fa più movimentato, con la salita che attraversa il paese, la successiva discesa, un tratto di fondovalle in leggera pendenza, e l’ultimo km all’insù, scandito da una serie di tornanti. Giunti alle porte di Ranchio, anziché entrare in paese, si gira a sinistra nella Strada provinciale 128 (indicazioni Sarsina) che collega la valle del Borello a quella del Savio, per affrontare la prima ascesa del giro, monte Finocchio (o valico della Musella), percorsa anche in qualche edizione della gran fondo Via del Sale di Cervia. Lunga 7 km, la scalata non presenta particolari difficoltà, come testimoniano la modesta pendenza media (5,3%) e il dislivello contenuto (375 m), tuttavia, non manca qualche punta al 10%. Una volta imboccata la Sp 128, si scende per 200 m, si attraversa un ponte sul torrente Borello e si inizia a salire, lungo una valle, selvaggia e pressoché disabitata, perpendicolare a quella del Borello. Dopo 300 m facili, la pendenza, pur senza presentare cifre trascendentali, aumenta e, fino al km 3, rimane sempre intorno al 6,2-6,8%. Il tratto più impegnativo è ubicato fra il km 1,5 e il km 2, dove si arriva al 9% e, in alcuni punti, si tocca la doppia cifra.

Sarsina e Sant'Agata Feltria

I successivi 3 km sono tutti pedalabili, fra il 3,5-5,8%, con la strada che risale alternando curve e controcurve ma senza veri tornanti, ora allo scoperto, ora in mezzo alla vegetazione, in ambiente aspro e chiuso dalle colline circostanti. L’ultima difficoltà sono 500 m al 6,2% fra il km 5-5,5, quindi si scende per 500 m e si percorre l’ultimo km in leggera pendenza (4,2%) guadagnando senza problemi il valico (612 m), da cui ci si butta nella ripida discesa su Sarsina (5,5 km). Un paio di km prima di raggiungere il centro abitato si attraversa l’antico borgo medioevale di Calbano e, sulla destra, si può ammirare l’antica arena plautina, dove ancora oggi, nel periodo estivo, vengono allestite rappresentazioni teatrali. Si ammirano le due torri mozzate, testimonianza della cinta muraria medioevale, quindi, dopo una serie di veloci tornanti, si plana su Sarsina, città natale di Tito Maccio Plauto, ritenuto il più importante commediografo dell’antica Roma, autore prolifico (gli sono state attribuite circa 130 commedie) ed esponente del genere noto come “della Palliata”. La cittadina della media valle del Savio si sviluppa intorno alla scenografica Piazza intitolata proprio a Plauto, sulla quale si affaccia la Basilica concattedrale di San Vicinio, costruita in stile romanico fra X-XI secolo, dove, in una cappella, si conservano le reliquie del Santo, fra cui la catena che era solito legarsi al collo per pregare Dio e scacciare il maligno, oggi utilizzata da alcuni sacerdoti per gli esorcismi. Al termine della discesa, tenendo la destra, ci si immette sulla Strada regionale 71, si percorrono poche centinaia di metri e s’imbocca la Strada provinciale 28 (indicazioni per Sant’Agata Feltria). Inizia qui la lunga salita che conduce al passo della Botticella – Poggio di Rimini. Al netto del primo chilometro, in discesa, la scalata misura, infatti, 13 km, che possono dividersi in 3 tronconi: il primo, di 6 km, lungo il fondovalle , con pendenze trascurabili e qualche saliscendi, il secondo, di 5 km, fino a Sant’Agata Feltria, un po’ più impegnativo ma tutto sommato pedalabile, eccetto qualche strappetto, e l’ultimo, breve ma intenso, consistente in 3 km con pendenza media del 7,4% e punte dell’11%. Dopo il primo tratto all’ingiù, si oltrepassa un ponte e si deve superare una scalino (6,2%) seguito da un tratto in contropendenza di quasi un chilometro che immette in una valle verdeggiante, con pascoli e campi coltivati. Fino al 5° km si procede senza difficoltà (1,3%), e anche il 6° km è semplice, nonostante la pendenza si porti intorno al 4,3%. Le cose si complicano un po’ superato quest’ultimo: si esce dalla valle e la strada inizia a inerpicarsi verso Sant’Agata, prima con una serie di tornanti poi con curve e controcurve. Intorno al km 6,5 si affronta uno strappetto al 9%, per il resto si viaggia sempre fra 5-6%. Appena guadagnata quota, si può ammirare monte Ercole, ricoperto da un fitto bosco di castagni su cui sui staglia, subito sotto, il borgo di Sant’Agata, raccolto intorno alla fiabesca rocca del Fragoso. Adagiata sulle colline del Montefeltro, fra le valli del Savio e quella del Marecchia, la piccola località, abitata sin dall’epoca pre-romana, è un gioiellino da visitare. Oltre alla Rocca (X sec.), restaurata da Francesco di Giorgio Martini nel 1474, spiccano il teatro Angelo Mariani, fra i più antichi d’Italia e costruito interamente in legno, nonché diversi luoghi sacri e mistici come la Collegiata di Sant’Agata, la Chiesa di San Francesco della Rosa e la Chiesa e convento di San Girolamo. Di solito raccolto e tranquillo, il borgo si anima nel mese di ottobre, quando ospita, tutte le domeniche, la Fiera del tartufo bianco pregiato e dei prodotti agro-silvo-pastorali, e in dicembre, trasformandosi nel Paese del Natale.

Si fa dura verso San Leo

Entrati a Sant’Agata, la strada spiana leggermente: girando a sinistra si entra nel borgo mentre proseguendo sull'arteria principale si attacca la parte più dura dell’arrampicata. Se nei primi 11 km la pendenza media è stata di poco inferiore al 4%, negli ultimi 3 schizza all’insù. Il più duro è il primo km, dove la pendenza resta costantemente inchiodata fra l'8-9% e per due volte si va addirittura in doppia cifra, toccando la punta massima di tutta l’ascesa (11%). Il secondo chilometro è un po’ più facile, perché non si ci sono strappi e c’è persino un tratto per rifiatare, tuttavia si resta sempre intorno al 7%, mentre nel terzo, dopo 200 m iniziali all’8%, si scende al 4% salvo risalire al 6-5,5% prima del valico (799 m). I tornanti veri e propri sono tre, concentrati nei primi 2 km, poi la strada prosegue sinuosa sino al crinale, da cui ci si affaccia sulla sottostante valle del Marecchia. Si prosegue in leggera discesa per circa 3 km, con tratto centrale in contropendenza, fino a raggiungere il bivio per Novafeltria, dove occorre tenere la destra, entrando nel percorso della Nove Colli, che affronta questa discesa dopo la doppia scalata a monte Tiffi e Perticara. In 6 km, caratterizzati da ampi tornanti, si raggiunge il fondovalle, s’imbocca la Strada provinciale 258 (svolta a sinistra) e la si segue per poco meno di 5 km, fino a Secchiano, dove si svolta a destra, si attraversa il lungo ponte sul Marecchia, e si intraprende la dura salita verso San Leo, che, nella Nove Colli, viene, invece, affrontata in discesa. Da Secchiano sono 6,6 km, di cui i primi 3 facili, esclusa una rampa (10,4%) intorno al km 1,5, e gli altri tosti, con pendenza fra il 7-8,5%. Dopo il ponte, in corrispondenza del cartello che segnala l’ingresso nel comune di San Leo, si inizia a salire leggermente e le pendenze restano contenute fino a Cà Ottaviano (km 3), dopo la quale balzano al 7-8% e non scendono più, con un tratto al 10% in corrispondenza di un doppio tornante prima di Poggio Zocchi. Al km 4,7 si attraversa la frazione Celle, quindi si continua con pendenza costante sino a immettersi sulla provinciale proveniente da Pietracuta (Sp22). Durante la scalata, guardando in su, si può ammirare la rocca di San Leo, che svetta su uno sperone di roccia proteso nel vuoto come una grande nave di pietra. Raggiunta la provinciale, girando a sinistra ci si avvia direttamente in discesa, per visitare San Leo, invece, si tiene la destra e si scende per qualche centinaia di metri fino al ponte da cui parte la salita finale (12%) che, costeggiando la caratteristica rupe, conduce nel cuore del borgo, definito da Umberto Eco “La più bella città d’Italia”. Superata la Porta di Sopra col Torrione Trincera si arriva nell’unica piazza, piazza Dante, su cui si affacciano Palazzo della Rovere, Palazzo Nardini, la Pieve di Santa Maria Assunta, la più antica chiesa di San Leo e dell’intero Montefeltro, con all’interno la cripta e il cosiddetto Sacello di San Leone, e il Palazzo Mediceo mentre al centro campeggia la fontana classica. Di lì, prendendo a sinistra, si arriva in breve al Duomo di San Leone, la più importante chiesa medioevale di tutto il Montefeltro e magnifica testimonianza dell’architettura romanico-longobarda. Sulla medesima roccia su cui è costruito il Duomo, si erge anche la Torre civica, simbolo di San Leo e straordinario esempio di romanico. Su tutto, domina la fortezza, costruita su uno sperone naturale di per sé inaccessibile. Contesa nel Medioevo da Bizantini, Goti, Franchi e Longobardi, fu poi trasformata in carcere (1631) e accolse ospiti illustri come il conte di Cagliostro, mago e alchimista, e patrioti risorgimentali, fra cui Felice Orsini. Si può raggiungerla sempre in sella alla bici, affrontando la durissima rampa in parte sterrata che a fine aprile ha ospitato l’arrivo della terza tappa del Giro di Romagna per Dante Alighieri (Under 23).

Il ritorno verso Cesena

Ammirata la rocca, si ridiscende verso la provinciale 22, si risale per qualche centinaio di metri, quindi ci si tuffa verso Pietracuta, distante una decina di km. La prima parte della discesa è scandita da una serie di ampi tornanti, con pendenze costanti, la seconda, invece, di 4,5 km è quasi pianeggiante. Al termine, si svolta a destra sulla Marecchiese (Strada provinciale 258) e la si segue fino alla biforcazione con la Strada provinciale 14, che si percorre fino a Santacangelo (17 km). Una volta qui, si prende la via Emilia e in 22 km si rientra a Cesena. In alternativa, prima di Santarcangelo, in località Sant’Andrea per la precisione, si svolta a sinistra nella Strada provinciale 73 che diventa poi Strada provinciale 92 e, attraverso Canonica, si raggiunge Savignano sul Rubicone, si imbocca la via Emilia e si prosegue fino a Cesena.

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